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Cultura

ESSERE CRISTIANI

FELICE MAGNANI - 22/01/2016

godIl mondo cattolico sta vivendo una delle pagine più difficili della sua storia. In molti casi non è più il punto di riferimento. L’evoluzione tecnologica, l’eccesso di consumismo, la dilatazione irrazionale della libertà, la formazione di morali individuali, la frantumazione del concetto di sacralità, la mancanza di una definizione dei contenuti del progresso, un eccesso di superomismo, la relativizzazione a scopo personale delle verità di fede, generano malesseri che in molti casi svuotano di contenuti e di finalità l’azione umana, riducendola a puro meccanicismo.

Il meccanicismo riduce la portata e l’ampiezza della verità, che rischia di accartocciarsi in una sorta di asfissia esistenziale, dove tutto si consuma, diventa sterile, non produce più alcun tipo di effetto. È un po’ quello che sta succedendo ai tempi nostri, dove la suggestione materialista del potere ha preso il posto dell’attenzione alla condizione umana, contratta in una sorta di limbo esistenziale dal quale non riesce a emanciparsi.

Riesce sempre più difficile far coesistere due valori che sono alla base dello sviluppo cristiano della storia: la povertà e la ricchezza. Si tratta di due terreni sui quali il cristianesimo ha costruito il suo dinamismo, la sua autenticità, la sua capacità di entrare e uscire dalle aspettative umanitarie della storia.

Nella filosofia cristiana povertà e ricchezza si sono compattate, hanno rivelato non solo la loro unione sinergica, ma soprattutto la loro complementarietà. Il povero è diventato ricco, e il ricco è diventato povero. È in questa altalenante condizione esistenziale, diventata in molti casi metafora, che la religione ha costruito la sua forza e la sua identità, capace di spogliarsi e di promuovere.

Si giunge così all’affermazione di un paradosso che sviluppa nuove forme attrattive, aprendo la via all’affermazione della vita dei santi, capaci di annullarsi, di sostituire alla vocazione materialista, una condizione riservata al fiorire di un’ attiva e operante spiritualità. È nella variabilità attrattiva di spirito e materia che si consuma e si ravviva la spinta cristiana, legata all’energia di una condizione umanamente viva e rassicurante. È anche in questa dimensione che l’uomo colloca la sua aspirazione presenzialista, la sua voglia di protagonismo umanitario. La povertà diventa trampolino di lancio, molla che fa scattare una coscienza nuova, in cui ciò che veramente conta è chi attende che la storia torni ad essere paternamente e maternamente attenta e solidale nei confronti di chi è stato tagliato fuori di chi guarda all’orizzonte senza la certezza di poter confermare la sua presenza. La povertà diventa ricchezza, capacità di donare, di dimostrare che i valori si trovano spesso nelle zone più defilate, quelle in cui sembrerebbe non esserci aspirazione e stimolazione.

Sulla forza della povertà evangelica il cristianesimo ha costruito la sua identità, la sua forza alternativa, la sua capacità di dare risposte a un mondo senza luce. Dopo secoli di prevaricazioni il mondo emarginato usciva finalmente dalla sua condizione di subalternità e affermava il suo diritto ad essere riconosciuto come parte integrante della storia umana. Per secoli la chiesa ha confermato la propria catechesi di emancipazione e di redenzione, diventando suo malgrado maestra di virtù “politiche” legate alla condizione umana e ai suoi bisogni esistenziali. Per secoli è stata paladina del valore assertivo della povertà, diventata nel frattempo strumento di giustizialismo politico e religioso.

La ricchezza ha dovuto piegarsi al servizio della povertà, dimostrando quanto fosse importante saper andare oltre gli orizzonti limitati della vita terrena. Si è così giunti a un equilibrio determinante, in cui la condizione umana si vedeva finalmente riconosciuta e sostenuta, accettando la spinta umanitaria di una chiesa figlia della forza taumaturgica di un Dio diventato uomo, accettando la povertà e l’emarginazione come strumenti di salvezza. Per la prima volta essere poveri non era colpa, ma dono, un dono talmente importante da mettere l’uomo nella condizione di aspirare alla gioia eterna. Ma la storia umana è anche storia di emancipazione dai bisogni e soprattutto di intelligenza. L’uomo ha scoperto la propria ricchezza e l’ha messa a frutto, dimostrando che i sistemi umani sono soggetti a radicali cambiamenti e che la cultura non è un valore statico, ma soggetto a logiche mutazioni.

Anche la chiesa si è sentita colta di sorpresa. La povertà sulla quale aveva coltivato il suo sogno di salvezza è diventata una grande ricchezza, grande al punto tale che sarebbe diventata la scorciatoia per il paradiso. Molte cose sono cambiate, anche quei valori che sembravano inattaccabili. Si è allargato sempre di più lo spazio tra chiesa realtà terrena e chiesa di Dio, tra il potere reale e quello spirituale.

In alcuni casi il conflitto si è fatto acceso e i confini hanno ceduto il posto a prevaricazioni di ogni sorta. Il Vangelo, sulla cui parola si fondava il messaggio cristiano, ha fatto capire la discrasia esistente tra la domanda e l’offerta, tra l’essere e il divenire, tra il dogma e l’evoluzione storica della verità. In molti casi la chiesa ha sopravanzato la temporaneità, in altri è arretrata, dimostrando che non sempre la condizione umana è sintonica.

L’indissolubilità non è poi un fenomeno così assoluto e la storia si è trovata nella condizione di interpretare e di rispondere a ciò che nasceva dal cambiamento. Ciò che un tempo passava per dogma diventava verità mutevole.

La chiesa si è resa conto che occorreva dare risposte forti e immediate per non perdere terreno. In fondo la sfida è stata sostanzialmente terrena, è sul campo che si è verificata e realizzata l’identità. È sul campo che la storia umana è diventata anche storia divina, è così che l’umanità ha avuto la possibilità di esprimere il proprio diritto alla pienezza.

Oggi viviamo un momento difficile, caratterizzato da una progressiva decadenza dei massimi sistemi istituzionali nazionali, europei e mondiali. Un eccesso di stagnazione ha creato condizioni degenerative che a loro volta hanno creato tirannia, corruzione, ricchezza estrema, ottusità politica e religiosa.

La povertà è tornata alla ribalta in tutte le sue forme. Spesso lo stato e la chiesa hanno perso di vista i loro confini, privilegiando il personale rispetto all’universale. Nel frattempo il mondo cattolico ha perso la sua unità, si è arroccato in una miriade di arcipelaghi in cui ha coltivato la sua visione personalistica, adattandola sistematicamente ai propri bisogni e alle proprie necessità. Si è largamente diviso sulla visione della condizione politica, sul giudizio etico rispetto ai grandi temi correnti, ha adottato spesso modalità contraddittorie, facendo leva su un sistema di tolleranza che è confluito spesso nel pressapochismo, nel relativismo e nel soggettivismo e in molti casi non è più stato in grado di proporre modelli certi e conclamati.

Tutto questo non per mancanza di efficacia delle sue spinte storiche e dottrinali, ma a causa di incertezze e ambiguità di vario ordine e natura, coltivate per arginare fenomeni degenerativi.

Quale il risultato? Gli effetti collaterali di una progressiva disgregazione hanno generato danni irreparabili. Non sarà facile ricostruire ciò che è stato distrutto. Nonostante un macroscopico calo d’autorità e di credibilità, la chiesa resta comunque, nella sua essenza, custode dei valori sui quali è stata costruita la nostra storia di uomini e di comunità. Mai come nei momenti di crisi, quelli in cui dopo aver provato tutto insorge la volontà di ripristinare un ponte tra il materialismo corrente e il bisogno di spiritualità.

Ed ecco che il Vangelo di Gesù riconsegna le fragilità alla speranza e la fede torna ad essere risposta alle frustrazioni e ai vuoti esistenziali della vita. Quando gli esseri umani sono delusi dalle risposte materiali, sentono forte il desiderio di ricompattare quella parte di sé che hanno delegato ad altro e riscoprono la sostanziale bellezza di valori come l’amore, il perdono, la pace, il rispetto, la fede, la preghiera, il silenzio e la contemplazione.

Dopo l’ondata di piena del rumore arriva il desiderio di abbassare i toni fino a percepire la voce dell’interiorità, che capovolge le strategie del mondo, ridando fiato a quella ricchezza umana che ciascuno di noi porta con sé, ma di cui non si accorge, forse perché non guidato o forse perché poco educato alla cultura della vita. È in questa delicatissima fase di ricompattazione che la chiesa deve essere capace di far sentire a tutti, nessuno escluso, che l’essere cristiani è essere testimoni di vita. Una chiesa che diventa presenza, testimonianza, esempio capace di indicare la via, di rafforzare una fede, di creare una speranza, di ridare un senso a una società in preda ai danni di un consumismo smodato, una chiesa che scende nelle strade e che predica le virtù evangeliche fuori dai palazzi, a stretto contatto con chi ha bisogno di aiuto morale, di riconquistare la fiducia nella vita. Una chiesa non vincolata all’amministrazione della cosa pubblica, ma al servizio di chi ha fame e sete di verità. In questi anni i carismi educativi della catechesi cristiana sono stati lasciati in balìa di sperimentazioni, di occasionalità, di procedure che hanno creato seri problemi di identificazione.

Abbiamo assistito tutti alla caduta della tensione formativa, quella che caratterizzava non solo l’educazione religiosa, ma anche e soprattutto quella civile, legata alle famiglie e agli oratori. Oggi si ha paura di insegnare il rispetto e in molti casi non si ha più il coraggio di prendere posizione su chi agisce in modo sbagliato. In alcuni casi gli oratori non insegnano più a pregare, non insegnano le buone regole che stanno alla base di una solida vita cristiana. Si regala una libertà incosciente, incapace di generare consapevolezza, di attivare il senso di responsabilità pubblico e privato, ci si abbandona alla temporaneità degli eventi. I campanelli delle case non suonano più, i preti sono sempre più assenti soprattutto là dove la famiglia sente la necessità di un conforto, di una speranza che l’aiuti a sostenere le prove di un tempo difficile. Non si insegna più la forza rigenerativa del silenzio, la sua capacità di esprimere appieno l’interiorità, il rispetto per la sacralità, per la cultura cristiana in tutte le sue forme.

Il silenzio è uno dei grandi valori che il mondo ha sottovalutato e in molti casi annullato. La cultura del silenzio è esercizio che dovrebbe essere coltivato e promosso con grande determinazione in tutte le agenzie educative. Si tratta di una campagna di riconciliazione che vale la pena portare avanti con grande coraggio. Recuperare la forza creativa del silenzio e il senso dell’eternità significa attribuire alla vita un significato molto più ampio e vivo, che va oltre il rutilante succedersi degli eventi. Ripercorrere il fine e lo scopo delle nostre azioni significa riattivare quella proprietà logica della condizione umana che ci permette di capire la differenza sostanziale tra il bene e il male, tra varie forme di materialismo e l’aspirazione alla “santità”.

Essere cattolici significa mettere in pratica la lezione del vangelo senza la paura di subire l’inquisizione, essere testimoni sempre, esserlo con grande determinazione e con grande coraggio, anche quando la professione comporta l’essere controcorrente e rischiare di dover affrontare il giudizio non sempre tenero della comunità. Essere cattolici nella società di oggi crea però discrasie e punti di vista sostanzialmente diversi, perché ognuno vive una dimensione personalizzata della vita.

Il relativismo è anche questo, contrapporre all’idea di verità come dogma o come assoluto, la propria, costruita nel laboratorio privato. Il fenomeno della lobbizzazione ha creato e crea non pochi problemi di natura identitaria, metodologica e operativa. In questi anni abbiamo assistito a una caduta verticale del concetto di sacralità. Parlare di Sacramenti o di luoghi sacri oggi significa privatizzare la storia, comprimerla, perché non siamo più abituati a darle un senso pubblico adeguato.

Chi è stato educato al rispetto sacramentale si trova oggi in seria difficoltà, perché la cultura laica e quella religiosa hanno adottato un sistema di tolleranza che spesso dilata fino a diventare terreno fertile per l’ambiguità. Riaffacciarsi al dialogo con la dimensione trascendente è importante per permettere alla natura umana di stabilire contatti più diretti e profondi con il mondo nel quale viviamo.

Si parla sempre meno di vita eterna, di inferno purgatorio e di paradiso, sembra che tutto ormai si giochi sul tema dei rapporti umani e sugli sviluppi delle potenzialità migratorie. Gli aspetti dottrinali hanno cambiato strada, i problemi della chiesa di Roma tengono banco.

Nelle persone si fa sempre più strada la consapevolezza che si preghi poco e male, che si parli pochissimo di Dio e che la rete educativa ecclesiale, che un tempo dettava legge per la sua autorevole incisività, sia largamente annacquata e desueta, in alcuni casi persino invisibile. Un eccesso di confidenza ha generato perdita di autorità.

Spesso i preti non sono più punti di riferimento stabili, sono caduti nella trappola della pianificazione e così subiscono l’arroganza di generazioni cresciute all’ombra di un protezionismo esagerato. Un tempo il prete godeva della massima stima da parte della famiglia, era visto come un educatore attento e vigile, capace di orientare positivamente i comportamenti, qualificandoli. La chiesa era una presenza attenta, solida, forte, capace di imprimere le giuste accelerazioni a una società sostanzialmente disposta a migliorare. Tra chiesa e famiglia si stabilivano rapporti di fiducia e di collaborazione, anche là dove varie forme di ateismo o di agnosticismo decretavano distanze e differenze. Esisteva un riconoscimento ufficiale legato alla positività del sistema educativo cattolico. Trasferire lo spirito della famiglia nella comunità è forse il modo migliore per consolidare e potenziare i valori della pace, dell’amore, dell’unione, della solidarietà e del rispetto.

Nella famiglia infatti ogni componente sviluppa una propria peculiarità che mette al servizio degli altri, perché si compia quell’unione delle idealità che è la forza stessa della comunità famigliare, ma le famiglie vanno sostenute, amate, educate, orientate, devono sentire che non sono sole nella difficile opera di conservazione e promozione dei valori che le caratterizzano. In questi anni la famiglia è stata lasciata sola, ha subito gli effetti della crisi finanziaria, non è stata capace di imporsi all’attenzione della politica, rimanendone talvolta schiacciata e il mondo cattolico è stato ampiamente insufficiente a sviluppare forme appropriate di sostegno.

Abbiamo assistito alla proliferazione di situazioni anomale e alternative, in molti casi il matrimonio ha perso per strada la sua vocazione all’eternità. Anche in questo caso l’educazione religiosa è stata inefficiente, incapace di creare le condizioni per una presa di coscienza forte e radicata. Uno dei limiti dell’essere cattolico oggi è l’aspirazione a riconoscersi in gruppi molto ben caratterizzati e la tendenza è quella di pensare che la propria posizione sia quella giusta, più adeguata alla professione.

Il pluralismo è una ricchezza quando elabora tensioni convergenti, può diventare un freno inibitore quando rivendica delle priorità o dei primati. Viviamo un’epoca nella quale la divisione del potere per fini dominanti determina posizioni nettamente contrastanti. Le divisioni generano incomprensioni, odi, perdita di credibilità e tutto questo va a vantaggio di chi vuole gettare discredito.

Oggi il cristianesimo necessita di realizzare nuove modalità d’intervento, più attente alla condizione sociale, tralasciando quelle forme “pagane” di spettacolarizzazione della fede che in molti casi rischiano di imprigionare la storia, impedendole così di essere positivamente accanto all’uomo e ai suoi bisogni.

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