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Politica

LE DUE SINISTRE INCONCILIABILI

GIUSEPPE ADAMOLI - 22/04/2016

renzi vendola

Renzi e Vendola, le due “anime” della sinistra

C’è chi ancora sogna una sola grande sinistra tutta unita. Non è un’utopia, è un errore di prospettiva storica. Tra costoro ci sono i nostalgici dell’Ulivo, eppure proprio l’esperienza di Prodi dimostra che questo disegno non è realizzabile. Una buona intuizione che ha contribuito positivamente all’evoluzione politica in una fase di drammatica crisi dei partiti della prima repubblica ma che nel quinquennio 1996-2001, pur con un apprezzabile risultato di governo, ha cambiato tre presidenti del Consiglio (Prodi, D’Alema, Amato) e nel secondo tentativo (2006) è fallito miseramente solo dopo due anni riconsegnando il potere a Berlusconi con un successo a valanga.

Il motivo di questo secondo e definitivo fallimento non stava nel fatto che dentro l’alleanza allargata dell’Ulivo (Unione) c’erano cavalli bolsi che si credevano dei purosangue ma nel fatto che convivevano idee e progetti inconciliabili. Il Pd fin dalla nascita (ottobre 2007), con Veltroni segretario, ha messo da parte quella visione imboccando nettamente la via del centrosinistra, simboleggiata dalla “vocazione maggioritaria”, cioè dal rifiuto di alleanze eterogenee. Matteo Renzi l’ha ripresa, quella via, con delle modifiche dovute alla necessità di dare uno sbocco al quasi pareggio delle ultime elezioni e l’ha portata avanti con una vigorosa accelerazione. Lo stile è talvolta discutibile ma senza strappi e qualche rottura non si vincono le resistenze al cambiamento di carattere sociale, burocratico, economico, politico.

La trasformazione non è conclusa e il sentiero è impervio. Se si giudicano i singoli atti del Pd e del governo potrebbero essere sollevate fondate obiezioni (molte delle quali però si elidono a vicenda), ma ciò che conta è la traiettoria del rinnovamento, l’approdo verso il quale si sta andando, il modo come si mette in soffitta l’armamentario della vecchia sinistra e si comincia a dialogare con i ceti che accettano come irreversibile la globalizzazione che ha cambiato i connotati della destra e della sinistra che però sussistono ancora, eccome se sussistono.

La realtà è che le sinistre sono almeno due anche in Italia non diversamente da Germania, Francia e Spagna. Da una parte chi non vuole staccarsi dal tradizionalismo storico e, dall’altra, chi cerca (il centrosinistra) difficili sfide di governo per non essere condannati alla minorità perenne che nelle attuali condizioni lascerebbe spazio ad una politica di destra fortemente demagogica, anti europea, in parte xenofoba.

Per dare dignità alla sua posizione l’antica sinistra si presenta come il campione della democrazia rappresentativa contro la governabilità purchessia del Pd. Concezioni molto diverse. Dare più efficienza al governo, rendere forte la stabilità politica e semplificare il processo legislativo non significa indebolire il sistema di rappresentanza democratica ma rinnovare un parlamentarismo logoro, inefficace, lontano dai ritmi alti della società e dell’economia. In questo solco di vitalità democratica si inscrivono anche le primarie (da migliorare) che sono il segno di un partito che da più peso all’elettore ponendolo al centro del sistema decisionale per le candidature più rilevanti e per le grandi opzioni politiche.

Questa trasformazione in atto a sinistra sta offrendo riflessioni interessanti anche ai movimenti di massa come i sindacati che non per nulla cominciano a rimettere in discussione le forme della loro rappresentanza e operatività. Sotto questo profilo lo stesso Jobs Act, tanto contrastato e detestato, sta provocando dei buoni effetti innovativi, impensabili fino a qualche tempo fa.

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