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Cultura

DENTRO IL LINGUAGGIO

LIVIO GHIRINGHELLI - 06/05/2016

wittgensteinIl padre di Ludwig, Karl Wittgenstein, di ricca famiglia viennese e proprietario di un impero industriale nell’acciaio, al centro della vita culturale della città, avrebbe voluto che il figlio abbracciasse gli studi e una carriera in sintonia con una vocazione scientifica e tecnica. Il figlio, pur ossequente ai desideri del padre, onde gli studi a Berlino di ingegneria e la specializzazione in aeronautica a Manchester, gli interessi matematici maturati con Frege e Bertrand Russell, fu sempre particolarmente sensibile al mondo umanistico e delle arti, in particolare alle vicende musicali: suonava il clarinetto, considerava la musica la più raffinata delle arti.

Partecipò quale volontario al primo conflitto mondiale come ufficiale austriaco, distinguendosi per il valore e le molte medaglie conquistate per le imprese sul fronte russo. Nel 1918 aveva già pronto il manoscritto dell’unica opera da lui seguita nella pubblicazione (tutte le altre opere seguirono postume).

Uscito una prima volta nel 1921 in un’edizione tedesca non approvata, il Tractatus logico-philosophicus riapparve l’anno seguente con traduzione inglese a fronte e l’introduzione di Bertrand Russell.

Si tratta di una successione di pensieri, per lo più brevi e numerati. L’opera è volta a individuare le condizioni secondo cui una proposizione è sensata; sono prive di senso le proposizioni tipiche della metafisica, dell’etica, dell’estetica, quelle che non sono immagine di alcun fatto nel mondo. Il mondo non è un insieme di oggetti, è la totalità dei fatti, non delle cose. Il linguaggio è immagine logica della realtà e la proposizione è l’immagine logica di uno stato di cose, stabilendosi un isomorfismo tra linguaggio e realtà per identità di struttura.

Il senso di un enunciato è costituito dalle sue condizioni di verità (principio ereditato da Frege). La filosofia è prima di tutto un’analisi del linguaggio e il suo problema principale è la distinzione tra dire e mostrare.

La corrispondenza tra proposizioni elementari e fatti semplici non si può esprimere, ma solo mostrare e le frasi contenenti la parola oggetto sono un vero e proprio nonsenso. L’opera si conclude con la celebre metafora: su ciò di cui non si può parlare, non si può che tacere. Qui si rivela l’aspetto mistico del Tractatus: il mondo è, mentre la scienza può solo dire come il mondo è; si possono dire solo le proposizioni della scienza naturale (TLP 6.53). Nessuna asserzione su fatti può implicare un giudizio di valore; l’etica appartiene all’indicibile, è un avventarsi contro i limiti del linguaggio. Si tenta sempre di dire qualcosa che non riguarda l’essenza del problema.

Ottenuto un diploma di maestro, dopo avere insegnato in scuole di montagna austriache (1920-1926), l’anno successivo Wittgenstein torna a discutere di filosofia con gli esponenti del Circolo di Vienna sino al 1932. Professionalmente è docente di tale materia a Cambridge tra il 1930 e il 1947.

Ora, nella produzione di questa seconda fase (Ricerche filosofiche) non ci sono più in una sequenza bene ordinata aforismi in forma assertoria; i manoscritti presentano invece successioni di domande, esempi e analogie. Si abbandona la considerazione del linguaggio idealmente unico e perfetto , per riscoprire il linguaggio ordinario nei suoi più semplici meccanismi d’apprendimento e d’uso. Il linguaggio è praticamente connesso a contesti extralinguistici di comportamento, di credenze, di aspettative. In luogo di un’analisi logica legata alla nozione basilare di proposizione elementare si introduce quella di gioco linguistico ed è vanificato il problema del linguaggio come totalità, perché questo si decompone nella miriade dei giochi linguistici.

Il significato di una parola o di una frase non è dato una volta per tutte, ma dipende dal contesto di proferimento. I concetti non sono più definiti da un insieme di proprietà essenziali date a priori (platonismo) o a posteriori (empirismo). Il nostro reale bisogno varia con le nostre esigenze e tutto dipende da ciò che chiamiamo lo scopo.

 

 

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