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Editoriale

SUA ALTEZZA

MASSIMO LODI - 27/05/2016

littoriaLa torre dell’eccellenza civica. Potrebbe essere chiamata così, quella di piazza Monte Grappa: sua (nostra) orgogliosa altezza, 70 metri, 196 gradini, 28mila giorni di vita, origini pregiate nel segno dell’architettura razionalista. Cioè torre simbolica, rappresentativa, comunitaria per davvero.

Qualche giorno fa un intrigante convegno ha spiegato il progetto che annunzia il transito epocale da torre littoria a torre narrante. Dal passato al futuro, lasciandosi alle spalle un presente d’inerzia, degrado, inconcludenze. Non si tratta (1) di parole al vento, che attorno al monumentalismo del Loreti (applausi scroscianti) spira a folate intense, pur non intaccandone la stabilità/solidità, assolutamente eguale oggi a ieri, fine anni Trenta, epoca dell’innalzamento: studio esemplare, chicca da scuola ingegneristica, cemento armato d’avanguardia, rivestimento di serizzo antigoriano a tenuta perfetta. Si tratta (2) dell’indicazione d’un fatto possibile: la torre restaurata, inserita nella contemporaneità, fulcro/manifesto/volano della Varese che vuole rinascere e rilanciarsi, fondendo il nuovismo del terzo millennio con l’anticheria neoclassicheggiante.

Dunque (3) non solo un progetto che, firmato da un gruppo di specialisti a guida di Elena Brusa Pasqué, esiste già: è nell’archivio del Comune, condiviso e approvato, pur se non finanziato. Ma anche e soprattutto (4) un’idea di rivoluzionarismo semplice: riappropriarci di ciò che abbiamo, ottimizzarlo, metterlo al servizio della cittadinanza. Perché “da littoria a narrante”? Perché appunto capace, il beneamato “pivot” urbanistico della città fedelissima al basket, di citare la storia riscrivendo la cronaca. Dicendo: ecco che cos’è Varese, quali i suoi meriti culturali /economici /turistici /sportivi eccetera, quali le sue vocazioni, quali le promesse realizzabili, quali gl’impegni possibili. E perciò, su/alé per le rampe interne al manufatto e nei pianerottoli a disposizione (compreso lo stupefacente terrazzo al “top”) con mostre, promozioni, incontri e altro che l’iniziativa civico-politica suggerisca. Anzi, imponga. Dato che una torre così congegnata, riveduta e corretta funzionalmente non si contenterebbe d’un qualche sporadico cimento promosso qui e là: ascolterebbe ogni voce che si levasse, e se ne farebbe eco concreta.

Ogni voce, badate bene. Voci più forti e voci più flebili. Della nuova maggioranza amministrativa, della folta minoranza, dei varesini nel loro insieme. Non a caso la relatrice finale del convegno, Anna Maria Milesi, ha marcato e rimarcato il termine “emozione”. A questo si vuole e si deve puntare: coinvolgere emozionando. Ovvero: cogliere l’umore popolare, sintonizzarvisi, accendere l’empatia, creare i prodromi d’una collaborazione sentita e vera, d’un patto silente e operativo, d’una intesa necessaria a restituire a Varese la sua anima. Proprio così: l’anima.

Una sorta d’immaginario e benvenuto discorso elettorale, pur non essendolo – neppure lontanamente, absit iniuria – negl’intenti. Infatti e in sostanza, cari amici lettori, è quello che ci stiamo narrando (a proposito di narrare) da settimane, e mesi, e anni: abbandonare i bassi fondali (il terra terra d’una deludente gestione pubblica), salire in quota (al modo dello svettante/metaforico profilo della torre), guardare tutt’attorno, in profondità, ovunque (com’è favorito dai trecentosessanta gradi di visione dalla cima, idem metaforici), tirare boccate di un’aria nuova, fresca, energizzante (più che avvertirla, l’aria quasi la si tocca, di lassù: e chiede d’essere inspirata nei polmoni individuali e amministrativi). Concludendo: candidiamo, con uno zic di fantasy, la torre a ideale sindaco bosino, senza scordare chi in concreto ne potrebbe essere il rappresentante/tramite/delegato esecutivo duecento metri più in là, a Palazzo Estense. Colui che la contronarrazione, fuori della torre e in uggia al potere, l’ha già cominciata da un pezzo.

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