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Politica

PALAZZO ESTENSE, IL LIETO INIZIO

MANIGLIO BOTTI - 24/06/2016

palazzoDiciamo subito che la storia non è a lieto fine ma a lieto, lietissimo inizio. Perché, replicando il famoso motto di Rossella O’Hara in Via col vento, non si aspetti a dire “dopotutto domani è un altro giorno”. Già oggi è un altro giorno.

Lasciamo agli esegeti e agli esperti di cose politiche il compito di esplorare gli spostamenti di voto, di analizzarne gli umori, di valutare asetticamente i numeri cercando poi di estrapolarne i contenuti. Per quanto ci riguarda ci limitiamo a ricordare in modo forse un po’ generico quanto accadde il giorno di Santa Lucia – il 13 di dicembre – del 1992, quando cioè la Lega di Bossi&C. fu indicata dagli elettori varesini per salire, la prima volta, il soglio di Palazzo Estense.

Erano tante le speranze, allora, e grave la dissoluzione creata dai governi demosocialisti succedutisi nel passato. La Democrazia cristiana governava la città, in pratica, dal 1948. Da quarantaquattro anni, dunque. Negli ultimi vent’anni e passa governava anche e insieme con la parte varesina laica e radicale.

La risposta sincera che ci si deve dare, noi e non solo noi, anche i cittadini elettori e i non militanti della Lega, e i moderati (i laici e i radicali che, in quel frangente, con un brusco revirement avevano cambiato rotta) è la seguente: a quella domanda e a quell’esigenza di speranze che cosa è mutato nei ventitré anni di Lega? La risposta, a mio parere, è semplice e chiara: niente. La Lega ha replicato in tutto e per tutto una gestione di potere a reticolato, riempiendo la bottiglia svuotata con un liquido di colore verde un po’ corretto, mentre prima era bianco, azzurro e con una punta rossiccia. Insomma, la città, è rimasta al palo. E si può affermare che i problemi irrisolti di oggi siano stati in gran parte determinati da chi c’era prima.

È dunque da qui che bisogna ripartire. E non per dire: prima c’eravamo noi, poi siete arrivati voi, e adesso ci siamo di nuovo noi… No, non può essere così e non deve essere così. Se questo voto – in una disputa che non s’è conclusa in modo ampiamente maggioritario ma a poco più di un’incollatura – dice qualcosa, dice che non si deve più svuotare di nuovo la bottiglia per riempirla a piacimento. E ricreare un giro d’affari. Che poi a Varese, gira e rigira, appunto, vede coinvolti sempre i soliti; un giro diverso ma in fondo uguale.

Chi sostiene che c’è stata una divisione tra i moderati – quelli che prima erano schierati da una parte e poi, magari anche per tornaconto personale, dall’altra – non dice una bugia. Ma il fatto è che davvero stavolta si deve cambiare nei fatti e nelle idee, pensando a un bene comune (scritto con la c minuscola) e non ai propri orticelli. Vale per i moderati e per i destri, per i nuovi sinistri e per certi cattolici impegnati in politica, soltanto in politica, e anche – è stato detto bene – per chi ci vorrà starci della Lega e della ex Lega.

Che poi: ha senso ripartire ancora con una suddivisione di schieramenti, spesso un po’ artificiosa e gli uni contro gli altri armati? Non è che una volta, almeno una volta, per fare bene lungo cinque anni non ci si debba davvero mettere insieme, tutti gli uomini seri e di buon senso?

Il significato del voto e dell’impegno che ha portato Davide Galimberti al successo, davanti a un Paolo Orrigoni che pure non s’è presentato digrignando i denti e con in testa l’elmo da guerriero vichingo, era proprio questo: trasversale, varesini diversi, di provenienza – anche ideale – diversa ma uniti per una città migliore. Nuova. Meno “affaristica”, più vera e più a misura di uomini liberi, onesti e leali.

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