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Editoriale

ILLUSIONE

GIANFRANCO FABI - 22/09/2016

brexitL’Europa non è in uno dei suoi momenti migliori. Anzi probabilmente il progetto unitario varato nel dopoguerra sta incontrando una serie di difficoltà che richiederebbero uno slancio costruttivo tanto ambizioso quanto complesso da realizzare.

Il vertice di metà settembre a Bratislava, pur se informale e senza obblighi sostanziali, ha comunque più segnato le divisioni che delineato possibili strade per affrontare i problemi. Problemi che si chiamano disoccupazione, crescita, immigrazione, sicurezza. Problemi che danno luogo a visioni diverse e che sembrano delineare più le rivendicazioni di tutti che la responsabilità di ciascuno.

E peraltro siamo di fronte ad una globalizzazione del disagio con temi che si rispecchiano dalle due parti dell’Atlantico. Sia la banca centrale europea, sia la Federal Reserve americana, dopo anni di politiche basate sull’espansione monetaria, hanno ammesso pubblicamente che l’aver portato i tassi di interesse a zero, e in molti casi sottozero, non costituisce per nulla una soluzione, ma anzi è un nuovo problema aggravato dal fatto che nessuno conosce la strada per tornare alla normalità.

E se in Europa abbiamo avuto il voto inglese e la crescita dei movimenti antieuropeisti in Germania come in Francia, negli Stati Uniti la possibile vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali comporterà inevitabilmente una progressiva chiusura nelle relazioni internazionali americane.

Proprio la scelta inglese resta in primo piano non solo come simbolo della protesta, ma anche come possibile indicazione di una tendenza se non positiva, almeno praticabile. Nelle ultime settimane molti commentatori anti-europeisti hanno sottolineato come in fondo la scelta degli inglesi non abbia provocato quei grandi contraccolpi che si temevano sul fronte dell’economia dopo gli scossoni e le previsioni tempestose che erano state formulate. Anzi a prima vista i segnali sembrano essere positivi: il calo della sterlina ha favorito le esportazioni e il turismo, la Borsa di Londra dopo una breve caduta ha riconquistato i massimi dell’anno, la fiducia e i consumi hanno fatto segnare indici positivi.

Ma forse bisogna osservare che la Gran Bretagna è ancora a tutti gli effetti un membro dell’Unione Europea, che le procedure per l’uscita non sono nemmeno iniziate e che ci vorranno almeno due anni perché la divisione sia definita e almeno altrettanti per valutarne le conseguenze a medio-lungo termine.

Anche se la premier Theresa May ha detto a più riprese che “Brexit means Brexit”, cioè che non ci sarà tanto da discutere, la realtà è che il Governo inglese è ancora diviso addirittura sul quando avanzare la domanda ufficiale di uscita e già si sono manifestati profondi contrasti sull’obiettivo da raggiungere con i negoziati. Londra sembra puntare a ridurre il più possibile la liberalizzazione della circolazione delle persone, ma continuando a poter avere il libero accesso al mercato unico e il “passaporto finanziario”, cioè la parificazione delle società finanziarie che hanno sede in Gran Bretagna con quelle europee. Due obiettivi che sembrano molto complessi da raggiungere insieme. La UE ha infatti sempre difeso la libera circolazione delle persone come elemento essenziale della costruzione comunitaria. L’Europa non è un pranzo a la carte dove ognuno può scegliere i piatti che preferisce e magari pretendere di non pagare il conto.

Ma anche gli stessi paesi europei sono divisi tra chi vorrebbe definire al più presto l’uscita e chi, come la Germania, appare disposta ad una trattativa più morbida anche per non compromettere i buoni rapporti economici. E intanto le grandi banche e le imprese estere in Gran Bretagna stanno comunque già prendendo le misure per un loro disimpegno.

Lasciamo quindi che gli inglesi prendano la loro strada. Pensare che paesi come l’Italia possano seguirli è una truffa e un’illusione. L’Italia può e deve condizionare l’Europa a coniugare ripresa e solidarietà.

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