Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Cultura

NOBILTÀ D’UOMO

FELICE MAGNANI - 27/10/2016

Edoardo Gallico

Edoardo Gallico

Un’amicizia bella, la nostra, fatta di convinzioni familiari, di sensibilità comuni. Di scienziato ricordo l’indomabile amore per la lotta contro il cancro, posta all’attenzione del pubblico nel libro: “I tumori non rispettano il codice”, con la prefazione del suo amico Umberto Veronesi, di cui ho avuto il piacere di scrivere la recensione su La Prealpina.

Edoardo era fortemente innamorato dei suoi studi, con una chiara propensione alla visione umanitaria, all’espressione artistica come forma di realizzazione di un carattere troppo chiaro e trasparente per sottostare ai condizionamenti di una realtà spesso arida e irriconoscente. Un medico sapiente con l’animo sgombro dagl’intrighi, capace sempre di volare alto. In occasione del libro: “Perché la vita non sia una lunga malattia”, che abbiamo condiviso con la prefazione del professor Veronesi, specchio stabile di Edoardo, l’amicizia ha fatto sentire il suo peso, al punto che l’ormai anziano professore si lasciò scappare: “Mi sarebbe piaciuto averti come figlio”.

Una stima super partes, nata da chissà quali logaritmi, umanamente vera e solidale. Per lui l’amicizia andava oltre i parossismi, era il senso di un cammino comune fatto di valori condivisi, la gioia di riconoscere il come e il dove realizzare la gioia di un umanesimo senza ombre. Abbiamo collaborato sempre. Era lui che si faceva vivo con missive depositate brevi manu nella cassetta delle lettere o lasciate appoggiate al cancello, con l’indirizzo scritto con il pennarello e l’immancabile N.H..

Per Edoardo la nobiltà era qualcosa di moralmente importante, il marchio distintivo di un’ umanità capace di parlare senza sotterfugi e senza ipocrisie. Era uno sportivo, uno che tirava di fioretto e di spada, capace di duellare con Mangiarotti o con i campioni universitari inglesi, incontrati durante la sua permanenza all’Istituto del Cancro di Londra.

Mi parlava spesso di Pietro Rondoni, professore di patologia generale e di Felice Perussia dell’Istituto del Cancro, due grandi scienziati con i quali aveva condiviso l’onore della ricerca sul male del secolo. Era un mantovano convinto e della città di Virgilio sottolineava le radici storiche, intellettuali, culturali, musicali, si capiva che l’aveva nel cuore, lo si poteva notare nei profili padani che disegnava a tempo perso con gli acquerelli: la città, le sue torri e il fiume, poche pennellate per riannodare antichi e nuovi ricordi, il forte legame con la famiglia di provenienza e con il fratello musicista.

Le leggi razziali non lo avevano risparmiato, lo avevano costretto a continuare gli studi di medicina a Losanna, in Svizzera. Non l’ho mai sentito criticare, era elegante e riservato anche quando voleva imporre ciò che gli sembrava giusto. Era un vero signore. Aveva una grandissima passione per l’arte in generale. Pittura, musica, scultura, letteratura erano i suoi passatempi preferiti, la fonte della sua serenità e lo sono stati anche nell’ultima parte della sua vita. Nel

1958 è diventato primario di radiologia all’ospedale di Cittiglio e nel paese di Alfredo Binda è rimasto fino alla pensione. Amava Cocquio e Cittiglio di uno stesso amore. Era una figura particolare, capace di farti ritrovare un mondo un po’ antico, ma carico di mille risvolti umani.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login