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Storia

LA “BOTTIGLIA DELLA MEMORIA”

FRANCO GIANNANTONI - 11/02/2012

Non sapremo mai il suo nome, da che Paese venisse, se fosse giovane o vecchio, un intellettuale o un autodidatta, un professore o un operaio. Era ebreo, questo è certo. “Forse non ci sarà possibile stabilire la sua identità”, commenta sconsolato il portavoce del Panstwowe Muzeum Auschwitz-Birkenau, Jarek Mensfelt. Certo un genio, dotato di immensa forza interiore che non si piegò alla barbarie sapendo mantenere quel briciolo di lucidità per farsi testimone del crimine più orrendo compiuto dall’uomo. Le iniziali sono MM. Uno dei sei milioni di esseri umani sterminati dal furore nazista. Sicuramente per la qualità del prodotto era un formidabile disegnatore.

Sull’esempio di Robert Capa, l’esule ebreo ungherese, che fece conoscere al mondo con la sua “Laica” e la sua “Zeiss” le scene più avvincenti della guerra civile di Spagna, MM con una povera matita e, qualche rara volta, con la penna a inchiostro e qualche spruzzata di colore, ha tramandato dal vivo, nel momento stesso in cui si compivano, i momenti più atroci nel campo di sterminio di Auschwitz.

Molti disegnarono “dopo”, in primis il nostro inarrivabile Aldo Carpi; mai, se si fa eccezione per i bimbi di Terezin, “prima”, cioè nell’attimo stesso in cui il film dell’orrore si stava dipanando fra violenze inaudite.

Si tratta di trentadue schizzi a colori contenuti in ventidue fogli di un album a spirali, formato 20,8 per 13,5, che l’ignoto artista, ingoiato ad un certo punto nell’inferno di Hitler (ne fa fede l’ultimo schizzo rimasto incompiuto, forse l’avvio di un trasporto alla camera a gas all’interno del blocco con il muso del camion in primo piano) aveva infilato, ben ordinati, in una bottiglia, sotterrata fra un baracca ed un’altra, attorno alle camere a gas e i forni crematori n. 4 e n. 5 di Auschwitz 2-Birkenau nel settore BIIf.

Viene alla mente il messaggio che, affidato ad un’altra bottiglia ritrovata sotto una montagna di sassi, ai lati delle baracche della morte, l’ebreo polacco Salmen Gradowski volle tramandare ai “sommersi e salvati” di Primo Levi: “Caro scopritore futuro di queste righe, ti prego, cerca dappertutto, in ogni centimetro di terreno qui dove noi fummo. Qui troverai tanti documenti, ti diranno quanto è accaduto qui, tramanda tracce di noi milioni di morti al mondo che verrà dopo”.

In effetti gli scavi hanno riportato alla luce migliaia di tracce – oggetti, appunti, fotografie – che sono state ordinate nel Museo. Gli schizzi di MM furono ritrovati nel 1947 dal deportato Josef Odi (n. 61615) che li consegnò ai custodi del Museo. Ora sono tornati alla luce e resi pubblici mentre parte del mondo rilancia il messaggio della violenza di Stato.

Li ho ricevuti da Jadwiga Pinderska-Leck, dirigente bibliotecaria del Museo, l’istituzione internazionale che cura la memoria, riproposti in un libro che ha il valore di una reliquia dal titolo “The Sketchbook from Auschwitz” a cura di Agnieszka Sieradzka con sopra il timbro di Oswiecim (A. in polacco) e la data 26 gennaio 2012.

Fa impressione. La memoria che viaggia oltre mezzo secolo dopo e ti colpisce diritto al cuore. Costo, compresa la spedizione, 18 euro. Denaro mai speso meglio. Chi volesse può ottenere il volume di 113 pagine (ogni schizzo è accompagnato da una descrizione in polacco e in inglese) dal Museo al www.en.auschwitz.org. Anche Spiegel ha diffuso in settimana dieci delle trentadue immagini, siglate nel lato destro dall’autore MM, elencate dalla “A” alla “D”, numerate probabilmente dai primi collaboratori del Museo che le ebbero fra le mani negli anni ’60, provocando un’ondata di emozione.

Dire che questi schizzi facciano inorridire è poco. La prima immagine fissa l’arrivo dei deportati ebrei alla Juden Rampe, la “rampa di scarico” descritta in cento modi ma mai illustrata, davanti all’ingresso di Auschwitz 2-Birkenau. Dai vagoni le SS puntano il mitra MP 38 e il fucile Mauser 9. I prigionieri sono descritti nei minimi particolari, il testimone li ha visti, era probabilmente fra loro: una famigliola borghese in primo piano, la madre con buon cappotto, la bimba alla mano, il padre davanti con il figlio in divisa da marinaretto, il cappello, la giacca con il fazzolettino nel taschino, il volto curato, fra le mani una valigia e sul braccio un “coat”. Ai lati un uomo anziano, baffoni, la stella di Davide sulla giacca. La verità i poveretti la conosceranno subito dopo “alla separazione delle famiglie”, la prima selezione per gli inadatti al lavoro destinati alle “docce” di Zyklone-B, il gas mortale prodotto dalla Ig-Fakben, la gloriosa fabbrica tedesca. Secondo schizzo esemplare: il marinaretto che urla disperato strappato al padre che tende le braccia, il vecchio coi baffi che fa la stessa fine, gli altri, incolonnati, in attesa della selezione. Sullo sfondo i camion Opel-Blitz della Wehrmacht per il trasporto, a lato la torretta di ingresso.

La “bottiglia della memoria” ferisce senza offrire scampo. Le SS caricano i più deboli, gli scheletri viventi, sui camion del sedicente “Servizio medico dei deportati” per finirli con iniezioni al cuore. C’è chi tenta la fuga: o finisce contro le reti elettrificate sotto il cono di luce del guardiano dalla torretta e finisce in cenere o, se non ce la fa, viene catturato, percosso a sangue e poi impiccato nella baracca sotto gli occhi smarriti dei compagni.

La precisione del disegno aggiunge orrore ad orrore. MM dà l’impressione di aver visto tutto compresi i feroci Kapò col loro bracciale di riconoscimento mentre con gli stivali spezzano il collo alla vittima stesa per terra e sono ripagati con un pasto eccellente. La camera gas funziona a regime, dai camini esce il fumo bianco cantato da Guccini, l’ufficiale di controllo prende fiato fumando tranquillamente una sigaretta accanto ai morenti. Ecco, sono questi i particolari che ignoravamo. La quotidianità.

Le SS aiutate dai Kapò gettano i cadaveri sui camion diretti ai crematori; il timbro a fuoco sulle braccia dei prigionieri; l’ufficiale SS a passeggio con tanto di bastone ossequiato da due deportati che si tolgono il loro cappello a basco; il colloquio in baracca fra due ebrei, uno impiegato al Servizio medico; l’appello, nella spianata, con un prigioniero che presenta al comandante nazista il registro del blocco 12; la distribuzione del misero cibo che arriva dalle cucine in speci di tinozze portate su scale a uso di carri; il pestaggio del Kapò a chi, trasportando le pietre, non regge e cade a terra; SS e un Kapò divertiti che gettano un prigioniero in una lagozza di fango, annegandolo; l’arrivo al crematorio fra SS schierate: c’è chi viene trasferito sui camion, chi va a piedi in gruppo (c’è una intera famiglia, madre, padre, figlioletto con la valigia con sé per aver l’illusione di una camminata normale); esercizi sportivi, piegamenti, in realtà brutali afflizioni; un ammutinamento: sparano le SS e lanciano i cani-lupo contro i prigionieri che attaccano alla persona ma senza speranza; le SS che caricano alcuni scheletri viventi su una lettiga mascherata da “Croce Rossa”; l’arrivo alla “rampa” dei treni coi prigionieri che sollevano sulle spalle i loro bagagli e se ne vanno verso l’ignoto; le frustate all’ebreo che ha mancato alle regole, legato ad una trave che viene fatta ruotare come un girarrosto.

Quando MM trovò tempo e lucidità sufficiente per i suoi schizzi? Difficile solo il pensarlo. Nelle ore di “riposo”, nella penombra del blocco piegato nella branda sulle ginocchia con il suo quadernetto invisibile ai più, per i primi i Kapò, nascosto in qualche anfratto del campo. Quello che conta è che si prese con estremo coraggio un pezzo di libertà, non volle darla vinta ai suoi persecutori. Disegnò per ricordare, per vincere l’oblio, per sfidare la morte.

Nelle foto:

A – L’arrivo dei prigionieri ebrei alla “Juden Rampe” di Birkenau;

B – la “selezione” dopo l’arrivo.

(da: “The sketchbook from Auschwitz”, Panstwowe Muzeum Auschwitz Birkenau, Oswiecim 2011, concept Agnieszka Sieradzka)

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