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Noterelle

LE NOSTRE PAURE

EMILIO CORBETTA - 09/12/2016

diversoIncontro tra cittadini e amministratori nell’androne della Caserma in una serata gelida.

Si doveva parlare di progetti per quella zona della città, invece prendono spazio i timori. Prima una signora lamenta la presenza di sbandati che s’introducono in spazi privati delle abitazioni attorno, poi un giovane uomo riferendosi ai bivaccanti in piazza dice: “Stanno qui in gruppi, urlano, bevono, spacciano, spesso si azzuffano, hanno aspetto minaccioso e non c’è nessuno che ci protegga”. Parla concitato con uno scorrere di parole tese, che escono dalla sua bocca in un volto corrucciato non da aggressività ma da timore, da seria preoccupazione. Preso nel suo discorrere appassionato, ripete i concetti espressi, incapace di concludere il discorso. Non ha il compiacimento dell’oratore, di quello che ama ascoltarsi nel suo dire. Esprime sensazione di paura. Non sta cercando di convincere, ma solo evidenziando, denunciando uno stato di cose. Sta esagerando? Quasi certamente, ma c’è un motivo: paura per una situazione che può sfuggire ai responsabili della città.

Se gli chiedessi perchè la presenza di questi stranieri lo turba, risponderebbe :”Fanno paura, sono una minaccia”.

È vero. Abituati a non veder tra di noi volti stranieri, restiamo sconcertati. Altre città del mondo vivono da tempo questa realtà, ma noi invece, improvvisamente coinvolti in questo stato, soffriamo.

“Ma perché questa paura?” “Perché sono qui e hanno una cultura diversa, hanno una educazione diversa, hanno credenze diverse e poi sembra che non ci rispettino”.

Perché sono qui? Perché hanno affrontato un viaggio costoso e spaventosamente pericoloso (5% – 10% di probabilità di lasciarci la vita)? Vengono da un popolo di schiavi. I loro avi sono morti sulle galere degli schiavisti. I sopravvissuti, dopo grandi pene sul mare, soffrirono nei campi di cotone degli stati americani del Mississipi. Altri andarono a morire nel mondo degli Arabi, dopo aver attraversato il deserto a piedi. E’ un popolo quindi di torturati fisicamente e spiritualmente per secoli ed ancor oggi negli Stati Uniti sono perseguitati dalle polizie. Vengono qui perché sui mass-media, che giungono fino alle loro capanne, vien mostrata una realtà molto attraente per loro. Vedono la possibilità di una qualità di vita migliore: smettere di dormire sulla nuda terra o se va bene su una stuoia, non più di paglia, ma di “caucciù” (come loro chiamano la plastica).

Un loro vescovo li ha invitati a restare nelle loro terre per migliorarle, ma da loro la corruzione, la violenza, la fame, raggiungono livelli incredibili. In molte regioni il deserto avanza a scapito delle terre coltivabili a causa del cambiamento del clima, che anche noi avvertiamo.

La nostra paura ci nasconde la loro disperazione e restiamo incapaci di aiutarli, spaventati dal problema che realmente creano con il loro arrivare, con il loro restare, con i loro atteggiamenti, in verità più da fatalisti che da aggressivi.

“Ma loro sono incivili” E senz’altro! Improvvisamente si sono ritrovati in una civiltà che noi abbiamo maturato lentamente nei secoli. Di colpo sono passati dal cammello al fuori strada, dalla lancia e dallo scudo di cuoio al kalashnikov. Dalla tribù alla Nazione artificialmente creata dagli Europei colonialisti.

“Ma loro sono ignoranti” Non c’è dubbio. Se hanno studiato, se sanno scrivere, hanno passato ore di studio serale sotto la luce pubblica dei lampioni, seduti per terra sui marciapiedi, ma le loro scuole culturalmente e tecnicamente lontane dalle necessità dei nostri giorni appaiono inadeguate. Se le hanno frequentate, hanno dovuto mantenersi da soli. Le loro famiglie dopo la prima adolescenza, nella maggioranza dei casi, sotto l’impulso dei neonati successivi, li mettono fuori casa.

“Non conoscono l’igiene, abbandonano rifiuti ovunque” Da loro fanno tutti così, (ma anche molti italiani lo fanno), ma i poveri non possono abbandonare niente, non possono consumare. Chi abbandona ovviamente ha avuto la possibilità economica di comperare.

“Ma loro non sanno lavorare”: è vero. Le necessità lavorative delle loro terre sono diverse, molto diverse da quelle che noi abbiamo. Va comunque aggiunto che le tecnologie lavorative stanno cambiando con una velocità e con caratteristiche sempre nuove che mettono in difficoltà anche gli europei. Non sono abituati agli orari ed a certe discipline in noi naturali o quasi.

“Ma loro sono passivi fatalisti”: una vecchia battuta dice che loro sono al 30% cattolici, al 40% musulmani, al 100% animisti con la loro visione della vita inevitabilmente fatale e vedono l’anima in tutto, per cui la morte ha un significato particolare. L’anima temuta, l’anima venerata del morto resta sempre presente: l’anima condiziona sempre la realtà di tutti.

Questo scritto, questi pochi cenni per evidenziare certe differenze che ovviamente sono molto più profonde! Si stanno presentando nella nostra realtà problemi complicati ed impellenti, la cui soluzione chiede una generosità ed una notevole intelligenza che sappia creare programmi e strategie per superare il muro delle paure. Non è con la paura, con l’emotività che si risolve una prova, questa emergenza che stiamo vivendo da qualche anno, ma che è ancora in bozzolo. E’ un preludio che ha tutte la caratteristiche di diventare sempre più grande nel prossimo futuro. I popoli dell’Europa, dell’Africa e di altre terre martoriate, anche se non sembra, anche se non vogliono, sono intimamente legati e coinvolti nei bisogni e nelle necessità dell’esistenza che sta arrivando.

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