Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Pensare il Futuro

TRUMP CONTRO I SIOUX

MARIO AGOSTINELLI - 17/03/2017

Protesta contro la costruzione del DAP

Protesta contro la costruzione del DAP

Donald Trump ha cominciato il suo mandato con una moltitudine di ordini esecutivi tesi a smantellare alcuni dei segni politici distintivi dell’era Obama, con l’obiettivo di esaudire le proprie promesse ai gruppi di interesse che lo avevano sostenuto nella sua campagna elettorale. Tra questi atti di Trump c’è anche la decisione di portare avanti il progetto Dakota Access Pipeline (DAP). Bloccato dall’amministrazione Obama anche per l’elevato rischio di contaminazione delle acque potabili, ha ricevuto il definitivo via libera da Trump.

Il DAP. è una sezione di un gigantesco oleodotto con cui si vorrebbe trasportare il greggio da Bakken, in North Dakota, sino alle raffinerie e ai porti del Golfo del Messico, via Patoka, in Illinois. Con una capacità massima di circa 570mila barili al giorno, questa pipeline che taglierà gli Stati Uniti da nord a sud, e potrebbe farsi carico del 50% dell’attuale produzione petrolifera del North Dakota, altrimenti non uilizzabile.

Il progetto, come è noto, è stato fin dall’inizio contestato dalle tribù indiane del North Dakota che si oppongono alla violazione dei loro territori sacri e ancestrali e per tutelare l’ambiente, in particolare le faglie idriche messe a rischio dai lavori di costruzione. Dopo mesi di proteste, l’amministrazione Obama aveva così deciso di bloccare il progetto.

Ma il progetto coinvolge in qualche maniera anche gli europei e noi italiani in particolare, il Dakota Access Pipeline è infatti direttamente finanziato da 17 banche, non solo americane. La Food & Water Watch nonprofit ha scoperto che oltre a istituzioni bancarie nordamericane come Wells Fargo e JPMorgan Chase, vi sono anche interessi e soldi di origine europea. Le francesi BNP Paribas, Natixis, Societe General e Credit Agricole, le olandesi ABN Amro Capital e ING Bank, le tedesche Deutsche Bank e BayernLB, la spagnola BBVA Securities, le inglesi HSBC Bank, Compass Bank, Barclays, ICBC London e Royal Bank of Scotland, le svizzere UBS e Credit Suisse, la norvegese DNB Capital/ASA. E l’italiana Intesa San Paolo.

La scorsa settimana gli esponenti Verdi tedeschi nell’ambito di una campagna dell’European Green Party hanno indirizzato una lettera ai vertici della banche del loro Paese coinvolte, chiedendo loro di recedere dal finanziamento di un’opera infrastrutturale che provoca notevoli danni ambientali, viola i diritti delle comunità locali ed è incompatibile con gli obiettivi climatici assunti a livello internazionale e quelli connessi allo sviluppo sostenibile statuiti dalle Nazioni Unite (United Nations’ Sustainable Development Goals – SDGs).

La notizia ha avuto grande eco sui media tedeschi. Avete letto qualche cenno sui giornali nostrani? E negli scandali bancari che agitano ogni giorno il nostro Paese, si è forse accennato a quanto le banche che “vanno meglio” lo fanno perché finanziano guerre o energie sporche? È come se ci augurassimo un buon futuro per noi purché sia pessimo per altri: questa è l’ipocrisia che più annichilisce in un presente di totale egoismo.

Banca Intesa San Paolo è quindi dichiaratamente tra i finanziatori del Dakota Access Pipeline (DAP), un oleodotto che attraversa un’area sacra per i nativi indiani, mettendo a rischio le riserve idriche di una vasta zona del Nord degli Stati Uniti e i diritti umani dei Sioux. San Paolo contro i sacri padri Sioux, ovvero le nuove crociate.

La protesta pacifica dei nativi americani è stata più volte repressa con metodi brutali. È stato documentato l’uso di gas lacrimogeni, di proiettili di gomma, l’impiego di elicotteri e di potenti riflettori per illuminare a giorno gli accampamenti e impedire il sonno. E poi episodi di detenzione di persone in cucce per cani e di maltrattamenti durante gli arresti, anche verso persone anziane e indifese, nonché l’uso di idranti con temperature ben al di sotto dello zero. Ovvero armi e torture per gli infedeli di un nuovo dio: il denaro.

Mentre la banca ABN AMRO ha dichiarato che ritirerà il suo prestito, Intesa Sanpaolo in Italia non ha ancora interrotto il finanziamento. Intesa San Paolo deve interrompere il finanziamento del Dakota Access Pipeline nei territori Sioux perché contrario ai diritti umani dei nativi e perché stride con l’impegno preso in favore delle famiglie e delle imprese che investono nel settore dell’energia pulita, tramite il progetto Energia 2020 e con l’impegno che Intesa ha più volte ribadito per il sostegno all’ economia circolare anche attraverso la sua collaborazione con la Fondazione Ellen Macarthur.

Ma che ne dice il governo: maggioritario di coalizione, di lista, mattarellum, consultellum, eccetera?

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login