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Urbi et Orbi

TEMPI DI “FAKE NEWS”

PAOLO CREMONESI - 24/03/2017

fakenewsUltimo in ordine di tempo è stato l’allarme lanciato dal ministro Lorenzin a proposito dell’aumento di casi di morbillo. Anche il nostro paese ormai non è immune dal fenomeno delle fake news. Notizie false o nella migliore delle ipotesi non verificate che vengono scambiate in maniera frenetica tra siti internet e utenti. Leggende metropolitane, menzogne, ricerche inventate (come quella appunto secondo cui le vaccinazioni sono dannose) diffuse senza controllo: una vera e propria arma di distrazione di massa.

La moda si è diffusa in maniera esponenziale durante la recente campagna americana. Per le presidenziali è stata davvero difficile la selezione, ma Papa Francesco che “scomunica” Donald Trump va di diritto al primo posto, con 960mila interazioni sui social, secondo BuzzFeed News. Hillary Clinton che avrebbe venduto armi all’Isis  segue da vicino con 760mila riprese. Il demistificatore di frottole, il “debunker”, è stata così la figura emergente della più brutta corsa alla Casa Bianca nella storia degli Stati Uniti.

Scott Shane, reporter del New York Times, per esempio ha smascherato la bugia delle decine di migliaia di voti fraudolenti per la Clinton ritrovati in un magazzino dell’Ohio. Ha rintracciato l’inventore della bufala in Cameron Harris, un ragazzo di 23 anni, che ha poi ammesso di aver fabbricato il falso direttamente dalla cucina di casa sua. Tramite la pubblicazione della fake news sul suo sito Christian Times Newspaper.com, ha guadagnato 22mila dollari senza andare incontro a nessuna conseguenza legale.

La questione infatti sembra essere soprattutto di carattere economico: una stima al minimo di due euro per ogni mille visite a un sito, porta rapidamente a cifre a cinque cifre.

Altre volte invece la natura è strettamente politica: basti pensare al ruolo che le notizie false sulla presenza di armi chimiche in Irak hanno giocato nella prima e seconda guerra del Golfo tra il 1991 ed il 2000.

Le fake news tuttavia non sono un fenomeno recente. È solo all’enorme utilizzo della rete che dobbiamo la loro grande diffusione. Paolo Toselli per esempio in “Storie di ordinaria falsità” ne ha raccolte una decina che datano gli anni novanta: dal falso elenco di additivi tossici negli alimenti, con tanto di avvallo di pseudo organismi scientifici, al caso dei pompelmi blu, all’allarme per gli shampoo pericolosi.

E in tempi recenti Ermes Maiolica riconosciuto autore di bufale non ha avuto timore di uscire dall’anonimato e raccontare in una intervista: “Sono specializzato in false morti e falsi arresti dei vip, ma vado a periodi ogni tanto mi prende una fissa. Ho un codice etico preciso, non ho mai propagato falsi sugli immigrati ad esempio. Studio il verosimile, cerco il corto circuito informativo e mi ci infilo”.

Come difendersi? C’è chi ha avanzato proposte di legge per ‘ingabbiare’ la rete, chi ha chiesto interventi diretti degli Ordini professionali, chi invocato vere e proprie forme di censura. La Germania pensa di multare fino a 50 milioni di euro i social network che non toglieranno in fretta i contenuti di odio e le notizie false dalle «pagine» dei loro iscritti. In fondo, si dice, è ora che colossi come Facebook e Google siano più responsabili.

Al di là delle difficili applicazioni pratiche in un mondo tecnologico in continua evoluzione, si tratta di misure che inevitabilmente poco si conciliano con la libertà di espressione. Più realistiche appaiono invece proposte per impedire l’uso dell’anonimato in rete, costringendo così gli autori delle notizie false a uscire allo scoperto (anche se va ricordato che in molti paesi l’anonimato è l’unico modo per sfuggire alle maglie di sanguinose dittatture).

Comunque siano gli sviluppi, tutta la vicenda costringe ogni giornalista a rinnovare il patto di fiducia che lo lega al suo fruitore. Tanto più un organo di stampa, radio-tv, rete sarà considerato credibile tanto più il legame che si instaura con il suo pubblico ne uscirà rafforzato. Ed è dunque una sfida per ogni collega a verificare al meglio le fonti, presentare con completezza e scrupolo la notizia, ricordare la valenza sociale del proprio lavoro.

Solo così il fenomeno delle notizie false (che pur rispondono a paure e pulsioni presenti nella coscienza collettiva) sarà depotenziato e il contratto tra giornalista e pubblico rinsaldato. In fondo a nessuno, in rete oppure no, piace essere preso per i fondelli.

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