Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Presente storico

ATTO DI SINCERITÀ

ENZO R. LAFORGIA - 27/04/2017

Mario Borsa

Mario Borsa

Mario Borsa è stato un grande giornalista. Era nato in una cascina della bassa lodigiana nel 1870 ed era poi arrivato a Milano con la famiglia, che era stata costretta ad abbandonare la campagna per la sopraggiunta crisi agraria. Nella capitale lombarda aveva conseguito la laurea in lettere e molto presto aveva iniziato a scrivere per i giornali milanesi. Era un liberale progressista. E come tale, aveva lavorato al «Secolo», il quotidiano edito da Sonzogno e che ancora alla fine dell’Ottocento era il più moderno e diffuso giornale italiano. Con l’avvento del fascismo ed il successivo controllo che il fascismo esercitò sulla stampa, Mario Borsa dovette abbandonare il «Secolo», nel 1923, iniziando a collaborare con il «Corriere della Sera». Ma nel 1925, Luigi Albertini, direttore del quotidiano di via Solferino, fu costretto a lasciare il giornale e Mario Borsa lo seguì. In quello stesso anno, Mario Borsa pubblicò un libro, che già dal titolo aveva, per l’Italia di allora, il tono di una sfida e di una denuncia: Libertà di stampa.

«La libertà di stampa è tutto – scriveva Borsa nell’anno in cui il fascismo si mutò in dittatura – […], cioè la libertà di pensare, di scrivere, di controllare, di criticare, di correggere, di consigliare e occorrendo di denunciare».

(Di recente è stata pubblicata una biografia di Mario Borsa, che, nel titolo, riprende le parole appena lette: Alessandra De Nicola, La libertà di stampa è tutto. Mario Borsa, cinquant’anni di giornalismo democratico, Soveria Mannelli, Rubettino, 2016.)

Il nostro continuò ad esercitare la sua professione, ma non più per i giornali italiani. Continuò a trasmettere corrispondenze al Times, con il quale collaborava dal 1919. In Italia, intanto, pubblicava libri di argomento storico. Il fascismo non mancò di riservargli particolari attenzioni: Borsa fu arrestato un paio di volte e poi internato nel campo di Istonio Marina, in Abruzzo. Fu liberato dopo il 25 luglio 1943 e decise di ritirarsi in Valsassina. Qui, nell’estate del 1944, Ferruccio Parri e il Cln gli proposero di guidare il «Corriere della Sera» nel momento in cui la guerra fosse cessata. La guerra finì, e così, quando le forze armate alleate autorizzarono la ripresa della pubblicazione del quotidiano milanese con il titolo di «Corriere d’informazione», Mario Borsa ne assunse la direzione.

L’articolo con cui si presentò ai lettori, il 22 maggio del 1945, fu intitolato Sincerità. Me lo sono andato a rileggere in questi giorni. Giorni in cui abbiamo celebrato il 25 aprile. Così si apriva quel primo editoriale:

«Riprendendo la penna dopo venti anni di forzato silenzio, vorrei, anzitutto, consigliare i lettori a fare un atto di sincerità. Mussolini non è più. E sta bene. Ma noi siamo ancora qui. L’uomo ha avuto ciò che si meritava. E sta bene. Ma siamo sicuri di aver avuto noi ciò che ci meritavamo? Mussolini ha finito la sua vita. E sta bene. Mussolini ha chiuso gli occhi per sempre. E sta bene. Ma saremo noi tanto avveduti da tenerli d’ora in avanti bene aperti?»

La colpa, continuava Borsa, non era ascrivibile solo ed esclusivamente a Mussolini. Le parole alate che il duce ripescò nel «firmamento intellettuale dell’Europa», «tutti le ripetevano perché titillavano la vanità». Le parole, cioè, come «primato», «conquista», «gloria», «impero», trovarono una diffusa accoglienza nell’Italia di allora e a tutti i livelli. La colpa di tutto ciò che era accaduto, in Italia come in Germania, e che aveva prodotto l’immane tragedia del secondo conflitto mondiale non fu solo dei rispettivi «duci».

«La colpa vera, umiliante, imperdonabile fu nostra. […] Se vogliamo in qualche modo fare uno sforzo per risollevarci, dobbiamo, anzitutto, avere il coraggio di confessarci, di gridar forte come il Nikita tolstoiano: “Siamo stati noi! Siamo stati noi!…”. È stata la nostra borghesia che, presa nel 1919 da panico pecuniario per i disordini del dopoguerra, né gravi in sé né irrefrenabili (ove appena l’autorità fosse stata fermamente sostenuta), credette di vedere la propria salvezza sociale nel manganello degli squadristi, ai quali fu larga di incoraggiamenti e prodiga di denaro e di armi; è stato lo smarrimento degli uomini e dei partiti responsabili, ai quali vennero a mancare l’energia e la fede».

Ci voleva un grande coraggio per scrivere queste parole nel maggio del 1945. E forse un tale coraggio è mancato all’Italia e agli italiani per molto tempo.

Mario Borsa lasciò la direzione del «Corriere» nell’agosto del 1946. La famiglia Crespi ne aveva acquisita la proprietà e nacquero dissapori sulla condizione del giornale durante la campagna per il referendum istituzionale. Il direttore aveva schierato il giornale a sostegno della scelta repubblicana. Borsa si ritirò così a vita privata, continuando a scrivere di storia e di letteratura. Si spense nel 1952.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login