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Cultura

IL BENE DELLA LINGUA

FELICE MAGNANI - 06/10/2017

italianoSuccede di incontrare persone che parlano una via di mezzo tra l’italiano, l’inglese e un pizzico di dialetto, per non tradire le origini. Siamo obliterati dagli okay, perché il sì non esiste più.

La tendenza odierna è quella di infarcire la lingua italiana di anglicismi, pensando che in questo modo diventi più bella, più ricca e affascinante. Trovi sempre più spesso persone che per dimostrare il loro europeismo ti stravolgono con i loro weekend, la loro sete di business, la loro ambizione a diventare leader, a gestire un coffee break o un fast food, intrattenendoti magari con un work in progress o con le loro idee sul marketing, per poi annuire sui brand, sul desiderio di designer, sul tentativo di mettere insieme un team o di andare sui roller per fare una passeggiata.

C’è poi chi ti assilla con l’austerity, chi con la mancanza di authority, chi si lamenta perché avrebbe bisogno della vicinanza di un bodyguard, oppure chi è in crisi nera perché è andato in default e chi è sempre alla ricerca di benefit.

Cresce l’esercito degli anglicismi e la lingua italiana va a farsi benedire. Sono lontani i tempi in cui una dolcissima maestra ti insegnava a comunicare in italiano con l’affetto e la passione di una madre, parlandoti della patria, rispolverandone le origini, le difficoltà, le vittorie e le sconfitte, facendoti cantare una canzoncina o recitare una poesia piena di cuore italiano.

Quante aste e puntini, quanti quaderni scritti per imparare a scrivere bene. Non sarebbe bastato un segno, quei segni dovevano essere molto chiari, ordinati, sicuri, erano il simbolo di un diritto acquisito. Un tempo i diritti erano preceduti dai doveri, prima dovevi dimostrare e successivamente potevi domandare, la democrazia conquistata era il grande dovere collettivo di una nazione diventata tale per l’impegno e l’abnegazione di un popolo affascinato dalla sua origine, dalla cultura che lo aveva generato.

La lingua racchiudeva tutto, era il simbolo dell’unità, la forza vera di una cultura italiana che voleva entrare nella storia e nella bellezza del mondo. Era una lingua che parlava al cuore dell’uomo, lo emozionava. Oggi la lingua sopravvive, ma a fatica, non le garba di essere sopraffatta e accantonata da suoni e voci che non le appartengono, vorrebbe che le si dedicasse più studio, più attenzione e che il suo straordinario patrimonio potesse aprirsi, trovando i consensi di un’Europa che è quasi sempre propensa a promuovere la lingua del business, invece di consolidare e potenziare quella della bellezza, che trova nell’Italia la sua culla ideale.

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