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Editoriale

ETICA

MASSIMO LODI - 27/04/2018

montecitorioEsiste un’etica nella politica, anche se tavolta/spesso la s’irride. Sentenziando: l’etica è una cosa, la politica un’altra. Insieme possono anche starci, ok. Possono, ma non necessariamente devono. Non lo sostiene solo il Di Maio di turno che offre disinvoltamente a destra e a sinistra, a un forno e all’altro, un’intesa purchessia di governo, allo scopo esclusivo d’esserne lui il capo. Di Maio ha illustri predecessori, tra i colleghi di partiti storici. E perfino tra gli studiosi, i professori ch’egli deprecava e ai quali adesso delega la compilazione d’un programma di legislatura da sottoporre ai futuribili partner.

Siamo al dunque, facendola breve. Esistendo un’etica nella politica, bisogna mantener fede alla parola data agli elettori, costi quel che costi. Facciamo il caso del Pd: non puoi impostare un’intera campagna propagandistica sul no alle forze/derive populiste e poi disporti a esaminare la possibilità d’allearvisi. È vero che quando un capo dello Stato chiama alla responsabilità nazionale bisogna rispondergli con senso delle istituzioni e cura del bene pubblico. È altrettanto vero che l’adesione all’invito ha un prezzo: vale la pena di pagarlo se accettabile, altrimenti no.

Dunque “l’accordo per l’accordo” tra Cinquestelle e Democrats non va. Come peraltro non andava quello tra M5S e centrodestra. Sono forzature, prese in giro, addirittura violenze. Ignorano/sprezzano la volontà dei cittadini. Va bene che un sistema a prevalenza proporzionale ti obbliga, se non stravinci, a intendertela con qualcuno. Ma con lui devi avere un cicinino in comune, non il nulla. Proprio in virtù dell’esistenza d’un minimo (anche più d’un minimo) di compatibilità, in Germania han stretto l’intesa Cdu-Csu e Spd. In Italia non esistono le condizioni d’un epilogo alla tedesca. Sarebbe un armistizio traditore.

Né vale sostenere che una parziale e reciproca abiura di quanto raccontato per mesi/anni rappresenti la condizione bastevole a siglare l’entente. Se son cambiate idee e programmi, meglio riaffidarsi al giudizio popolare. Nelle more, o continua a fare (bene) il suo mestiere il governo Gentiloni, oppure il presidente della Repubblica propone un esecutivo di traghettamento da una legislatura all’altra previa modifica delle legge elettorale; i partiti vi aderiscono con la residuale saggezza che si spera gli sia rimasta; e poi gl’italiani tornano a dir la loro.

Il resto sarebbe confusione, pastrocchio, inciucio. I fatti parlano chiaro. Il 4 marzo non ha decretato un vincitore: la coalizione di centrodestra s’è conquistata il maggior consenso, i Cinquestelle sono risultati il primo partito, né l’una né gli altri posseggono i numeri per governare da soli e sono stati incapaci di consociarsi. Il Pd ha perso e gli è stato assegnato il ruolo di minoranza. Ciascuno deve prendere atto di quant’è accaduto e regolarsi di conseguenza. Altro atteggiamento non verrebbe capito, al netto di calcoli, demagogie, machiavellismi che ci s’industria ad adottare come metodo d’alta politica quando invece trattasi di mezzucci d’una mediocre bassezza. Tra l’altro, e siamo proprio all’epilogo: l’economia non soffre a causa dello vacanza del nuovo inquilino di Palazzo Chigi. Semmai se ne giova. Alla faccia d’un qualunque Di Maio o Salvini, che potrebbe far più danni con la sua presenza di quanti benefici ci procuri l’assenza.

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