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Garibalderie

FERRARI, UOMO SOLO

ROBERTO GERVASINI - 11/05/2018

ferrariSi va al famedio del Monumentale di Milano per ricordare Carlo Maciachini a 200 anni dalla nascita e ci si imbatte in Giuseppe Ferrari, deputato e senatore eletto nelle nostre terre, tra Varese, Luino (Luvino), Gavirate, Besozzo e Arcisate per ben sei legislature, dopo il 1861.

Chi architetta leggi elettorali sa bene che i collegi vanno ben disegnati secondo le risultanze delle tornate precedenti e così tentarono più volte, ridisegnando il perimetro dei collegi, di non fare eleggere Giuseppe Ferrari che vinse sempre, anche contro i codini della scuderia dei Borromeo (Giulio Volpi). Nel 1874, nominato senatore del Regno per meriti culturali, lasciò il posto di deputato a un altro grandissimo del nostro Risorgimento, varesino, marito di Lucia Prinetti, ostinata mazziniana che teneva salotti risorgimentali a Varese, amica di Garibaldi: Giulio Adamoli.

A Luino Giuseppe Ferrari soggiornava a Villa Longhi. Un suo busto in marmo, posizionato in pretura a Gavirate, finì nelle cantine del Comune, che è – oggi più di ieri – il luogo deputato per lo studio della Storia. Dal 2011, per i 150 anni dall’Unità, grazie al Sindaco Paronelli, il busto staziona nelle sale del Municipio.

Milanese, nato nel 1811, figlio di un medico, Ferrari si laureò a Pavia nel 1831. Allievo di Gian Domenico Romagnosi come Carlo Cattaneo, nutriva per la cultura filosofica, storica e politica francese un’ammirazione tale che nel 1838 si trasferì a Parigi.

Ferrari trascorse in Francia 21 anni. Nel 1840 si laureò in Filosofia alla Sorbona e in seguito ebbe la cittadinanza francese che gli consentì di insegnare all’Università di Strasburgo. Fu costretto però ad abbandonare l’insegnamento accusato dalla Chiesa e dal partito cattolico francese di promuovere dottrine irreligiose e socialiste. Non fu mai più reintegrato malgrado l’aiuto autorevole di Edgar Quinet del quale non possiamo non citare un lavoro illuminante ed attualissimo, ripubblicato recentemente in italiano: “Le rivoluzioni d’Italia”.

Il “caso Ferrari” che ebbe larga eco in Francia, fu occasione per vedere nascere un’amicizia profonda con Proudhon che durerà fino alla morte di questi nel 1865.

Ferrari era repubblicano, democratico, federalista, proto-socialista, mutualista. In Parlamento si schierò con la sinistra radicale. Federalista e repubblicano e a favore di uno Stato italiano federale, votò contro l’annessione del Regno delle Due Sicilie e dei territori dello Stato Pontificio e fu molto polemico sul titolo del primo re d’Italia, Vittorio Emanuele che, come primo re d’Italia, restava “secondo”. Una brillante lezione di sarcasmo il suo travolgente intervento in Parlamento contro la reintroduzione della tassa sul macinato con la pretesa del Governo di voler applicare a ogni mulino un contagiri per battere la straripante evasione. Accorata la sua difesa di Garibaldi dopo le canagliate cialdiniane in Aspromonte, col ferimento del generale, il suo arresto e la galera al Varignano.

Ferrari si era associato all’amico Carlo Cattaneo nelle Cinque giornate di Milano. Di estrazione borghese e di fatto socialista libertario, non si era certo mai scordato degli ultimi, promuovendo nel nostro territorio la formazione di Soms – Società Operaie di Mutuo Soccorso –, in primis a Dumenza e Luino (di barcaioli). Sostenne lo sviluppo del più grande lebbrosario della Lombardia a Somma Lombardo, per i malati di pellagra e di gozzo. Promosse la formazione di biblioteche di lettura pubbliche nella fascia di territorio a nord di Milano.

 Singolare il fatto che a Varese, dietro la statua del garibaldino (Cacciatore delle Alpi ) in piazza Podestà, due vie si aprono: a destra quella intitolata a Giuseppe Ferrari (senza altra indicazione, neanche le date di nascita e di morte) e a sinistra quella dedicata a Gian Domenico Romagnosi, il suo maestro. Tra le due vie il balcone con le bandiere della Lega dove Garibaldi parlò ai varesini il 23 maggio 1859.

Dormono coloro che non hanno saputo avvalorare le loro istanze federaliste dando voce a un personaggio storico, un filosofo, politico locale di grandissima statura, forse superiore a Carlo Cattaneo che, tra l’altro, mai si batté in Parlamento.

 «Ferrari sedeva sui banchi della Sinistra difendendo le opinioni liberali, combattendo gli arbitri e gli errori dell’amministrazione, denunciando nel piemontesismo l’indebita preminenza di una consorteria, vagheggiando la demolizione di ogni privilegio ecclesiastico, e per tutto questo poteva sembrare d’accordo con i suoi colleghi dell’Estrema, anche se talvolta si divertiva a pungerli e sgomentarli con l’indisciplinata libertà dei suoi atteggiamenti; ma intimamente non era con loro. ». Era solo, senza famiglia politica.

E così lo definiva Francesco Crispi: «Ferrari, tutti lo sanno, è una delle illustrazioni del Parlamento, ma non esprime se non che le sue idee individuali ».

Avere idee proprie era cosa deplorevole già dal 1862.

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