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Editoriale

IMPOPULISTI

MASSIMO LODI - 16/11/2018

La manifestazione Sì Tav di Torino

La manifestazione Sì Tav di Torino

Recenti verdetti elettorali in Europa hanno promosso due formazioni, i comitati civici e il movimento dei verdi. Entrambi con la medesima radice socio-culturale, prima che politica: trasversali ai consueti schieramenti, attenti alle emergenze di sicurezza/lavoro/immigrazione, forti nell’impegno e garbati nella parola. Segno distintivo: il sì al progresso, il no all’oscurantismo. Ancora: il sì al confronto, il no al rifiuto. Infine: il sì al fare, il no all’imbonire. Le manifestazioni di piazza svoltesi in Italia (a Milano contro la visita del premier ungherese Orban, a Roma contro l’inadeguata sindaca Raggi, a Torino contro gli avversari della Tav, a Como e di nuovo a Roma contro l’ostilità ai migranti) si allineano a quest’impegno collettivo che nasce sua sponte, e non sotto l’incalzare demagogico di qualche comiziante sovrano/soprano.

Esiste anche in Italia la pulsione di positivo cambiamento che circola fuori dei suoi confini. Non è vero che ormai nessuno sfugge alla rassegnazione verso l’ineluttabile destino isolazionista, e che manca la fiducia in un futuro senza la prevalenza di rozze semplificazioni, chiusure in nome del pregiudizio, egoismi nazionalistici. È così forte un tale sentimento riformatore che basta poco a darvi sostanza: i quarantamila della piazza torinese insofferente verso l’inconcludenza grillina sono stati mobilitati da sette donne che, stufe dell’artificioso chiacchiericcio maschile, han lanciato sul web l’iniziativa. Subito condivisa da una ventina di associazioni del territorio, essa s’è concretizzata nella massiccia discesa in campo degli obiettori alla decrescita (in)felice.

Ciò che serve ora a un genuino mobilitarsi è il riferimento politico. Un partito che gli si affianchi, ne condivida/tuteli gl’ideali, lo incoraggi e aiuti a rendere nuove e utili testimonianze. Potrebbe essere, l’indispensabile partito, il Pd? Potrebbe, se trovasse un leader efficace, la smettesse d’esibire alterchi correntizi e noiosi bla bla, e tanto meglio qualora cambiasse nome per proporsi anche formalmente in una nuova veste all’occhio di quanti credono nell’alternanza allo sventurato duopolio Salvini-Di Maio. Necessita, il Pd, d’una vera e propria rivoluzione: tutto al suo interno deve cambiare se i Democrats intendono rimanere il fondamentale punto di riferimento d’un “patto del buonsenso” tra centrosinistra e centrodestra (perché anche nel centrodestra è viva una simile esigenza); e dunque a rappresentare l’alleato giusto di quei movimenti civici (e studenteschi, ultimamente) che fan breccia negli scontenti dell’attuale ménage grilloleghista.

Non c’è modo diverso per imboccare, anche in Italia, la strada che forze intellettuali e politiche hanno già intrapreso in altri Paesi: il loro faro è l’antipopulismo. O meglio, per parafrasare il titolo del libro appena uscito di Paolo Gentiloni: l’impopulismo. Non un berciare eguale e contrario al populismo, ma una razionale/moderata strategia che aiuti la propria nazione a consolidare un’efficace Repubblica europea. In fondo, si tratta della ripresa del sogno originario dell’Ue: un federalismo in grado di promuovere il continente a interlocutore autorevole di Usa, Cina e resto del mondo in virtù della sua antica e rivitalizzata forza storica. È il progetto che lo scrittore austriaco Robert Menasse teorizza e spiega nel saggio La capitale, già condiviso da numerosi intellettuali e circolante su altrettanti tavoli istituzionali. Roba seria, che appare una perla luccicante in mezzo alle opache cianfrusaglie della nostra penosa quotidianità.

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