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Attualità

BOIA CHI SCRIVE

SERGIO REDAELLI - 16/11/2018

Sciacalli nel mondo. In Italia sono i giornalisti

Sciacalli nel mondo. In Italia sono i giornalisti

Pennivendoli, sciacalli, puttane. Neppure Bossi nei primi anni della Lega era arrivato a tanto con i giornali. Insulti, oltraggi, turpiloquio, si stenta a crederlo ma è la voce del governo, il clima culturale che Di Maio, Di Battista & C apparecchiano per gli italiani. È accaduto in occasione della sentenza di assoluzione della sindaca di Roma Virginia Raggi. Il vicepremier Di Maio, scontento di come la stampa ha trattato il processo, sbrocca e minaccia leggi punitive. Con tanti saluti alla libertà di stampa sancita dall’articolo 21 della Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

Sempre meglio dell’olio di ricino, si dirà. Ma non è un bel vedere. Dopo gli imbarazzanti condoni edilizi, dopo le parole rimangiate sulla Tap e sul veto ad Autostrade per la ricostruzione del ponte Morandi (che a tre mesi dal crollo aspetta ancora uno straccio di progetto), dopo la testarda difesa della manovra economica bocciata dall’Europa che spinge l’Italia verso l’ignoto, il governo rilancia la campagna d’odio contro i media. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è costretto a intervenire: “Il pluralismo e la libertà delle opinioni sono condizioni imprescindibili per un Paese civile”, scrive. Meglio ribadirlo nel caso qualcuno si faccia venire tentazioni autoritarie.

E di autoritarismo puzza lontano un miglio la bozza di manovra che il governo ha spedito alle Camere accogliendo le istanze grilline in materia di editoria. Si parla di eliminare dal 2020 gli sgravi tariffari previsti per quotidiani, periodici, emittenti radiofoniche e televisive, di tagliare le bollette agevolate per le spese postali, telefoniche e di spedizione dei resi, cioè le copie invendute. Chi colpirà il provvedimento? Al momento possono richiedere il contributo pubblico le cooperative giornalistiche, gli enti senza fini di lucro, i quotidiani e i periodici delle minoranze linguistiche, i notiziari per non vedenti o ipovedenti, le associazioni di consumatori, le case editrici di quotidiani e periodici diffusi all’estero e le radio e tv locali.

È guerra contro i poveri. Convinto di imprimere una svolta epocale alla politica italiana, il nuovo esecutivo non si comporta diversamente da quelli che lo hanno preceduto. Prima le manovre per nominare alla presidenza Rai un giornalista gradito, ultimamente noto per avere diretto il gruppo editoriale del Corriere del Ticino. Poi i soliti tira e molla per negoziare le nomine ai tg nazionali e i direttori di rete. Ora gli insulti e le minacce. Per il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna le offese sono “incompatibili con il ruolo di ministro” e la federazione della stampa protesta al grido di “no al bavaglio dell’informazione”.

Quando ce vo’ ce vo’”, replica compiaciuto il braccio destro di Beppe Grillo. E il portavoce Rocco Casalino, dall’alto delle nobili parole pronunciate sui down, dà lezioni di educazione: “I toni eccessivi a volte servono”. Torna di moda infine il vecchio pallino del Grande Suggeritore, abolire l’Ordine dei giornalisti. “Il provvedimento è sul tavolo del governo”, annuncia Vito Crimi, sottosegretario con delega all’editoria. Secondo Crimi è “urgente adeguare l’Italia agli altri paesi del mondo dove la figura professionale del giornalista è libera da condizionamenti e risponde a regole che garantiscono autonomia e piena indipendenza sul lavoro”. Quali regole? Le decide il M5s. Classico istinto liberticida di chi ha il potere e non accetta le critiche.

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