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Attualità

NI TAV

GIANFRANCO FABI - 18/01/2019

tavTutto lascia credere che, così come si è messa, la vicenda del nuovo tunnel di base del Frejus sia da iscrivere nell’ormai troppo lungo elenco delle scelte fatte per complicarsi la vita da soli. Oltre che in quello, altrettanto disarmante, delle opere incompiute. Il Treno ad alta velocità (Tav) tra Torino e Lione è probabilmente nato sotto una cattiva stella: dopo essere stato iscritto nel 1994 dall’Unione europea tra i progetti prioritari nel settore dei trasporti, è stato oggetto di una serie infinita di riunioni bilaterali, incontri al vertice, proposte e controproposte, proteste popolari e analisi degli interessi economici e politici. Fino a che Italia e Francia sono riusciti, cinque anni fa dopo sette aggiornamenti delle analisi costi-benefici, a raggiungere un accordo per l’avvio dei lavori, la divisione dei costi dopo aver avuto dall’Unione europea la garanzia per il finanziamento del 40%. Il costo della sezione transfrontaliera è stato stimato in 8,6 miliardi, con un terzo degli oneri in capo all’Italia. I cantieri sono quindi partiti, i primi chilometri (circa un quarto del totale) sono stati scavati oltre a varie gallerie secondarie.

Poi nel maggio scorso è arrivato il Governo di Lega e Cinquestelle e, pur trattandosi di una linea di montagna, tutto è tornato in alto mare. Con un contratto tra i due partiti che prevedeva espressamente, pur senza indicarne la finalità, una revisione completa del progetto. Un progetto peraltro che è per molti aspetti simile a quanto affrontato e felicemente risolto in Svizzera con la realizzazione del tunnel di base del Gottardo inaugurato poco più di anni fa con grandi feste popolari dopo vent’anni dal primo colpo di piccone.

È stata formata così una nuova commissione per valutare per l’ottava volta costi e benefici con il compito straordinario di decidere se vale la pena continuare i lavori dopo aver già speso alcuni miliardi di euro nei progetti, nelle esplorazioni preparatorie, nei primi lavori di scavo. Con un copione peraltro già scritto. Non certo a caso a capo della commissione è stato designato il professor Marco Ponti, autorevolissimo studioso di infrastrutture e trasporti, che tuttavia aveva in ogni occasione dichiarato il suo, pur pienamente legittimo e motivato, parere contrario all’opera. Ora che un arbitro di calcio venga designato pur essendo dichiaratamente tifoso di una delle due squadre in campo è quanto meno sospetto, anche se è un arbitro che conosce perfettamente le regole del gioco.
È a questo punto che entra in gioco la teoria economica. Se infatti stimare i costi è un’operazione praticamente sicura ed oggettiva, la valutazione dei benefici non può che essere sostanzialmente arbitraria. Una delle fondamentali leggi dell’economia, le cui basi sono state poste all’inizio dell’Ottocento da Jean Baptiste Say, è quella secondo cui è l’offerta a creare la domanda, una legge che sta alla base della dinamica economica e del fondamentale processo di innovazione.
È così per esempio che Henry Ford a chi gli chiedeva perché decise di costruire delle automobili disse che se avesse semplicemente risposto alle domande dei consumatori avrebbe costruito delle carrozze più robuste e offerto cavalli più veloci. Quando venne inventato il telefono un ministro inglese affermò che in Gran Bretagna non sarebbe stato necessario perché, al contrario degli Stati Uniti, c’era un sufficiente numero di postini. Vent’anni fa il cellulare sarebbe rimasto un semplice telefono se con spirito innovativo qualcuno non avesse pensato di farne un computer portatile connesso a Internet.
Per tornare ai trafori ferroviari, stimare quelli che potranno essere i benefici dei traffici sotto le Alpi tra Italia e Francia tra dieci o vent’anni sulla base del passato è perlomeno soggettivo. Tenendo conto dei traffici attuali infatti il nuovo tunnel del Frejus non avrebbe una particolare utilità. Ma la nuova infrastruttura, se verrà realizzata, non si limiterà a rispondere alla domanda di traffico presente o futura, ma stimolerà la creazione di domanda aggiuntiva abbassando i costi e diminuendo i tempi, oltre che rispondere a obiettivi di compatibilità ambientale spostando i traffici dalla strada alla ferrovia. La pur breve esperienza della galleria di base del Gottardo dimostra che un’opera di questo tipo realizza un salto di qualità nell’offerta modificando sostanzialmente le opportunità del trasporto. In uno scenario peraltro in cui la storia dimostra che la riduzione delle barriere e l’apertura dei commerci ha sempre portato grandi e diffuse opportunità di crescita. Senza dimenticare che i benefici di una grande opera si ottengono anche mentre la si realizza dando lavoro, creando reddito, fornendo la base per tante altre attività economiche.

E invece ci complichiamo la vita. Anche perché sospendere i lavori a questo punto avrebbe un costo più o meno simile a quello necessario per completare l’opera. Anche perché non solo si rinuncerebbe al finanziamento europeo (più di tre miliardi) ma si dovrebbero restituire i fondi fino ad ora ottenuti oltre a pagare i costi di un contenzioso internazionale perché la Francia pretenderebbe, giustamente, di essere rimborsata dei soldi che per colpa italiana ha speso inutilmente. Come dire: al peggio non c’è mai fine.

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