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Politica

MANOVRA DIFFICILE

MANIGLIO BOTTI - 18/01/2019

cicalaCi sono meccanismi di alcuni fenomeni naturali di cui nessuno, almeno per ora, sa prevedere gli andamenti futuri. Per esempio: l’origine dell’universo e la sua evoluzione; lo sviluppo degli eventi meteorologici a lungo e lunghissimo termine; i meccanismi del cervello umano; la struttura e il comportamento delle particelle sub-atomiche. E, buoni ultimi ma non affatto da trascurare, il corso della politica, della vita associata e – soprattutto – dell’economia. Compresi certi studi sui rapporti costi-benefici di opere che si proiettano nel tempo a venire.

Lo affermano studiosi, scienziati e non chi scrive che – della scienza – risente ancora per fatto e per storia culturale degli “insegnamenti” di Benedetto Croce, per il quale matematica e scienza non accrescono il nostro sapere perché conducono unicamente a “pseudoconcetti”, e non costituiscono una “realtà razionalizzabile ma utile solo a fini pratici”.

Figurarsi, dunque, se ci mette qui a contrastare, oltre che tecnicamente e privi di competenze specifiche, anche ideologicamente la manovra economica del governo varata dai quadrumviri Conte-Salvini-Di Maio-Tria. A loro giudizio il loro progetto di economia e di bilancio presentato al Paese e all’Europa è il solo che può salvare e fare progredire l’Italia, che già tra un mare di debiti, di deficit e di spread al rialzo non naviga in buone acque. A loro giudizio (e degli uomini dei partiti che rappresentano) perché degli altri non v’è uno, uno solo che sia d’accordo.

Critiche autorevoli (la Banca d’Italia, la Commissione parlamentare bilancio, la Corte dei Conti, Confindustria, tecnici del ramo – come il presidente dell’Inps Tito Boeri o docenti di economia, più naturalmente i vari componenti dei partiti di “opposizione” – e gli esperti dell’Unione europea) non sono servite a nulla. Accordi e transazioni: pochissimi e tuttora sub judice. Lettere di invito a “riconsiderare i numeri” cestinate e poi riprese per fermare una procedura di infrazione, rilette anche se tutte stropicciate. Basterebbe, per convincersene, andare a riprendere, le dichiarazioni di premier e vicepremier (tutti presunti Nobel dell’economia…) delle ultime settimane, dell’ultimo mese.

È una tracotante sicurezza che lascia perplessi. Perché a quel che si vede essa non sembra essere basata su cognizioni scientifiche (ma s’è già detto che in queste nozioni v’è molto relativismo) ma su aspetti politici e fideistici. Vale a dire: è così perché deve essere così, una questione di fede. Non solo: la manovra – di cui però al momento non si sono visti gli effetti, ed è presumibile che bisognerà attendere ancora molto per vederne, positivi o negativi – risponde quasi esclusivamente non già al bene del Paese stagnante, che forse sta per precipitare in una nuova recessione, ma è una certa risposta a quanto era stato promesso in campagna elettorale, come la quota cento per le pensioni o, soprattutto, il reddito di cittadinanza.

Su quest’ultimo provvedimento, che preso a sé potrebbe essere anche utile, non v’è chiarezza. Si dice che qualora venissero offerte e respinte eventuali proposte di lavoro esso verrebbe cancellato. Ma se il lavoro – specie nel Meridione – non c’è e nessuno te lo propone? Mistero.

Se cinquant’anni fa qualche politico o qualche partito avesse messo sul tavolo a ragazzi nelle mie condizioni e della nostra generazione il settanta per cento dello stipendio – ci si basa su quanto realisticamente si percepiva in quegli anni – con la solo alternativa di “rimanere in attesa”, sarebbe stato applaudito e votato senza indugio. Ma poi?

Se questa politica annunciata all’insegna dell’ottimismo e della fede si rivelerà giusta, a dispetto del novanta per cento dei tecnici pessimisti che vi si oppongono, tanto di cappello. Ne avremo tutti da guadagnare. Ricchi e poveri (anche se, forse di più, i già ricchi). Ma se ciò – come pare emergere da fatti concreti – non accadrà saranno guai grossi. E non basta appellarsi alla democrazia, al voto, alla sovranità popolare: si fanno nuove elezioni e se la maggioranza approva, bene così.

Se una mattina (o una sera) qualcuno dovesse apparire in televisione e dicesse: signori non abbiamo più soldi, né per pagare le pensioni né gli stipendi agli statali faremo la rivoluzione? O diremo – che so – che è tutta colpa di Craxi, di Berlusconi, di Renzi, dell’Europa?

La speranza in un futuro felice che risponda all’equazione perseguita da sempre e da molti: sacrificio zero-benessere infinito è un’opinione. Non essendo esperti di economia, di soldi che girano e di prodotti che crescono nell’epoca delle cicale ci limitiamo a ricordare quanto si leggeva da ragazzi nel libro di Pinocchio. Le monete d’oro, se seppellite, spariscono, e non fanno crescere piante. Perché nottetempo se le sono intascate il Gatto e la Volpe.

In attesa del paese di Bengodi ci limitiamo al buon senso. Debito e deficit sono (quasi sempre) due condizioni che marciano insieme, di pari passo e non si elidono. Il signor Wilkins Micawber, personaggio forse autobiografico del David Copperfield di Charles Dickens, scrittore che se ne intendeva giacché suo babbo era stato imprigionato per debiti a Londra nel carcere di Marshalsea, predicava questa filosofia economica e morale che ci sembra difficilmente possa essere contestata. “Reddito annuale venti sterline, spesa annuale diciannove sterline e sei pence, risultato: felicità. Reddito annuale venti sterline, spesa annuale venti sterline e sei pence, risultato: miseria”.

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