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Editoriale

ABBAGLIATI

MASSIMO LODI - 15/02/2019

Monsignor Ravasi e Riccardo Bacchelli

Monsignor Ravasi e Riccardo Bacchelli

Guardate che la storia di Sanremo non è periferica, secondaria, irrilevante. Al contrario: appare rivelatrice, paradigmatica, esportabile. Tipico caso del piccolo che lascia intravedere il grande, del dettaglio minimo spia dell’insieme massimo. La storia racconta l’obiezione al successo dell’italo-egiziano Alessandro Mahmood. Sceso d’imperio in campo, il sovranismo di governo sentenzia: 1) il verdetto del Festival risulta inaccettabile; 2) la scelta della giuria popolare ha subìto un ingiusto ribaltamento da parte delle giurie d’onore e tecnica; 3) anche in materia di canzonette bisogna restituire la parola al popolo e toglierla alle élite. A seguire, grida di sospetto, manipolazione, complotto. E inni a stravolgere le regole, curiosamente indiscusse prima della gara e rifiutate dopo l’epilogo. Perché la vittoria è andata a un concorrente dallo sgradito coté simbolico, pro integrazione socioetnica.

L’aria che tira non è solo di (e per) Sanremo. Soffia, da un pezzo, sul resto d’Italia. Ormai la legittimità non deriva da princìpi normativi democraticamente accettati. Scaturisce dagli umori mutevoli dei leader politici, autonominatisi depositari della volontà delle masse. E da ciò autorizzati a sentenze d’apodittica sicumera circa ogni aspetto della vita pubblica e privata, fondate su un’idea-regina: le opinioni comandano ai fatti, e tanto peggio per i fatti se non se ne convincono. Una strategia premiante, testimoniata dai sondaggi: circola urbi et orbi voglia di uomo forte, di semplificazioni trancianti, d’impauriti appecoronamenti. E risultano benaccetti qualunque parola/qualunque gesto capaci d’allertare e mantenere questa totalizzante empatia.

È il trionfo dell’acriticità, per usare una gentilezza. È lo sterminio della competenza, per usare il realismo. È il boom dell’ignoranza, per usare la sintesi. L’ignoranza, ecco. Il non sapere causato, invece che da ridotti studi dovuti a umile rango, da mercatale arroganza e bolsa presunzione. Un virus nazionale sempre più diffuso, tra un impeto d’orgoglio e l’altro dei suoi (consapevoli, inconsapevoli?) portatori. Sarebbe necessaria, come ha denunziato il cardinale Gianfranco Ravasi nel recente “Breviario dei nostri giorni”, una moratoria della vacuità, in omaggio al detto rabbinico: “Lo stupido dice quel che sa, il sapiente sa quel che dice”. Trattasi però d’una pia, pur se titolatissima, illusione. La prevalenza dello stupido avanza inarrestabile. Lo stesso Ravasi rievoca un episodio personale d’anni lontani, ma di veristica attualità. Al termine d’un lungo dialogo nella sua abitazione milanese, lo scrittore Riccardo Bacchelli -celebre autore del “Mulino del Po”- accompagnò l’ospite all’ascensore così congedandolo: “Reverendo, si ricordi sempre che gli stupidi impressionano, non foss’altro che per il numero”.

Chiosa Ravasi: “Quante volte ho pensato a quelle parole accendendo il televisore, ascoltando forzosamente le chiacchiere al cellulare in treno o i discorsi nei giorni di vacanza oppure, ahimè, sfogliando i giornali. Senza voler fare gli schizzinosi o gli esseri “superiori”, si rimane abbagliati da così vasta e convinta stupidità”. Un Festival perenne, sul palcoscenico del Teatro Italia.

Ps

Preghiera laica del romanziere americano Saul Bellow (1915-2005): “O Signore, concedici una moratoria di una settimana dalle idiozie che ardono dappertutto e fa’ che una neve immacolata raffreddi queste menti surriscaldate e diluisca le tossine che avvelenano i nostri giudizi”. Preghiamo.

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