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Spettacoli

PEPPINO ALLA CARRIERA

BARBARA MAJORINO - 01/03/2019

peppino“A’ Robe’, pàssame er disco che famo divertì er villico”. Questa era una memorabile battuta presa da “Il Sorpasso”, il film gioiello di Dino Risi mentre i due eroi Gassman e Trintignant attraversavano l’Italia viaggiando sulla Lancia Aurelia B24 e davano un passaggio a un povero contadino che doveva piazzare uova e pollame ai mercati. Quel 45 giri di vinile nel mangiadischi dell’auto recava l’etichetta Carisch con la voce un po’ strascicata e adenoidale di Peppino Di Capri che canta “Per un attimo”.

 Un’altra scena indimenticabile di questo capolavoro in bianco e nero, è quella del ballo sulla spiaggia di Castiglioncello al ritmo di “Don’t play that song”, canzone di Ben E. King della quale Peppino fece una formidabile versione molto ritmata con l’intermezzo di un bel sax alto, mentre la cinepresa del film scrutava e indugiava lentamente tra i vari “tipi da spiaggia”. Senza nulla togliere a Ben E. King, questa interpretazione di Di Capri, è diventata simbolo di quell’Italia spensierata e allegramente bighellona che non esiste più. Chi va su you tube noterà con soddisfazione che commentatori americani arrivano perfino a preferirla all’originale. Così come molte altre sue canzoni che ci ricordano i giorni più lieti e luminosi di un’Italia che non veniva torturata dallo “spread” e dai parametri del 3%.

 “Nessuno al mondo” (un gettonatissimo slow da mattonella) è un’altra sua celeberrima cover di “No arms can ever hold you” di Pat Boone. Ma la versione italiana gli conferisce più mordente, grazie all’uso sapiente del “terzinato”. Va sottolineato che la Carisch era l’etichetta discografica che distribuiva anche i Beatles in Italia, e che Peppino Di Capri e i suoi Rockers, ci crediate o no, fece la band di spalla con i Fab Four durante le loro tre tournée in Italia.

 Una delle ingiustizie mai abbastanza sottolineata di quest’ultima edizione del Festival di Sanremo 2019 che pare essere stata la più “divisiva” della sua storia, è l’avere escluso un nome di prestigio come Peppino Di Capri dal Premio alla Carriera. Uno come lui che ha lasciato segni indelebili nella storia della canzone italiana, che ha partecipato a ben quindici Festival vincendone due, avrebbe meritato quel premio più di qualsiasi altro. E invece è stato attribuito a un defunto che benché meritevole, non ha mai partecipato (buon per lui) a nessuna edizione di Sanremo, il povero Pino Daniele. Non potevano darlo ugualmente alla memoria del caro estinto, e confermarlo al buon Peppino, voce simbolo del miracolo economico italiano? Lo spazio e il tempo per farlo c’era (ben cinque sere!); la volontà invece no.

Il Sindaco di Saint Tropez, gli conferì astutamente una cittadinanza onoraria per avere promosso la sua località turistica, grazie alle note del suo twist “A. St. Tropez/ la luna si veglia con te/…”. Così St. Tropez è famosa certamente grazie a BB, ma anche grazie al nostro PDC, che ha saputo creare un gemellaggio ideale tra il borgo della Costa Azzurra e Capri, isola che del resto è stata a sua volta celebrata dal francese Hervé Vilard in “Capri c’est fini”.

Reagisce Al Bano all’esclusione del collega, il quale dichiara all’AdnKronos: “Peppino ha dato molto alla musica lasciando una traccia forte in Italia e non solo. Un trattamento del genere mi sembra ingeneroso e squalificante”. E conclude: “Peppino merita non uno ma molti premi alla carriera. Alle volte in Italia accadono cose sconcertanti”.

Sono sempre stata una nevrotica insofferente di Sanremo che oramai il web ha ribattezzato “Sanscemo”, e trovo che contenga la stessa ingiustizia beffarda della vita. Per questo non mi è mai piaciuto: non vince mai (o quasi mai) la canzone migliore. È addirittura assai facile che arrivino ultimi quelli che poi venderanno più dischi nella vita e avranno successo tra i giovani, realizzando per caso, la vecchia parabola evangelica del “Beati gli ultimi!”. È capitato a Vasco Rossi, a Zucchero, a Carmen Consoli, ad Amedeo Minghi (1950), solo per fare degli esempi.

E in passato perfino all’immensa Mina (“Le mille bolle blu”) e a Celentano (“Il ragazzo della Via Gluck”): tutti famosi ultimi di Sanremo che poi si arricchirono con le vendite discografiche, ma soprattutto con strepitosi successi personali. Ma intanto, ultimi o primi, da lì bisogna passare. Ed è questa, la sua forza: una specie di casello autostradale inevitabile con tanto di pedaggio obbligato.

Ma torno alla lunga e brillante carriera di Peppino Di Capri nato Giuseppe Faiella (nome con il quale ha firmato molti suoi successi) che nasce nel 1939 nella splendida isola da cui prende il nome d’arte, da una famiglia di musicisti (il nonno e il padre lo erano). PDC viene istruito alla musica da un’insegnante tedesca severa e rigorosissima. Ha partecipato a quindici Festival di Sanremo vincendo quello del 1973 con il brano “Un grande amore e niente più” e nel 1976 con il brano “Non lo faccio più”. Ha anche vinto il Festival di Napoli del 1970.

Di certo appare netta l’ispirazione sua e del suo gruppo alla produzione rock’n’roll americana di fine anni ‘50 e, seppure non venga mai dichiarato espressamente, forti in quel periodo sono i riferimenti vocali di Peppino di Capri alla figura del rocker texano Buddy Holly, che in talune interpretazioni pare persino omaggiare nella tipica tecnica del canto a singhiozzo come nella citata “Don’t play that song”. Famose, diventeranno in seguito le sue giacche di lamé, il suo modo simpatico di dinoccolarsi e il garbo con il quale sa porgere le sue canzoni, tanto nel repertorio “lento” che in quello più ritmato.

Frattanto riversa al Nord anche un repertorio classico di canzoni del Sud riadattate e arrangiate magicamente bene con l’uso del “terzinato” e di sonorità moderne: è il caso di “Malatia”, “Nun è peccato”, “Luna caprese”, “Voce e’ notte”, “I’ te vurria vasa'”. Accanto al Peppino rockettaro che fa conoscere e ballare ” Let’s twist again” di Chubby Checker, ne esiste uno più raffinato di “entertainer” soft col pianoforte. Uno dei suoi più grandi successi è “Roberta”, il citato “Un grande amore e niente più” e naturalmente quella che è diventata un po’ la sua canzone simbolo: “Champagne” con la quale è solito chiudere le sue performance, tutti brani ancor oggi piacevolmente ascoltabili.

Non posso non citare due bellissime canzoni d’autore del suo repertorio: “Quando” di Luigi Tenco che lui interpreta alla sua maniera sempre così singolare, e “Noi due” del grande Umberto Bindi. Un giovanotto bruno dall’aria un po’ severa e accigliata gli si avvicinò per ringraziarlo di avere registrato “Quando”. Lui chiese chi fosse, e l’altro si presentò: “Mi chiamo Luigi Tenco”. Storico!

Senza dimenticare le raffinate esibizioni artistiche con due colleghi d’alta classe, veri amici di piano-bar: Fred Bongusto e il grande jazzista Bruno Martino in Notti Amalfitane che la Rai ha inserito nel suo prezioso archivio. Ho ascoltato quell’incontro musicale a tre presentato da Walter Chiari: una vera chicca! ma ora su you tube è diventato introvabile perché ci sono dei copyright da rispettare, perciò di tanto in tanto i filmati vengono oscurati. Chissà quando lo rivedremo…

Da vero signore qual è Peppino, stempera e spegne già i toni della polemica sanremese e sa passare oltre. Dopotutto la sua, è musica che ha saputo magicamente unire il pubblico del Nord e quello del Sud. Sempre con la sua classe e il suo garbo di gentleman caprese, merce oggi introvabile, poiché – come canta Battiato – “viviamo strani giorni”.

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