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Divagando

BALNEARITÀ POLITICA

AMBROGIO VAGHI - 26/07/2019

governo-balneareDurante la prima Repubblica a lungo egemonizzata dalla Democrazia Cristiana il periodo estivo era di frequente caratterizzato da governi cosiddetti balneari. Nessuno aveva intenzione di rovinarsi le vacanze estive e non crollava il mondo se i problemi del Paese venivano temporaneamente messi da parte. La Dc riusciva sempre tra le sue ampie file e le numerose correnti interne a trovare l’uomo adatto alla bisogna che garantisse tranquillità e traghettasse a più stabili governi da varare alla ripresa autunnale.

Abbiamo avuto così Presidenti del Consiglio personaggi quasi sconosciuti come Pella ed altri ben noti, più volte richiamati, riciclati e pronti all’uso. Parliamo degli Andreotti, dei Fanfani, dei Forlani, dei De Mita. Assicuravano governi della durata di due o tre mesi per dare tempo di sanare quelle ferite che avevano procurato la precedente crisi. Altri tempi e gli italiani non se la prendevano più tanto.

Entrati anche noi ora nei mesi della balnearità possiamo chiederci che cosa accadrà in queste settimane e che cosa potremmo attenderci dalla ripresa politica autunnale. Sinceramente nulla di nuovo. Di fatto il governo giallo verde potrebbe considerarsi un “balneare” cronico, tale fin dalla sua nascita. Inconcludente, coi suoi due potenti ministri vice presidenti sempre in lite ma ben incollati alle poltrone. “Meglio tirare a campare, che tirare le cuoia” era il motto del vecchio marpione Giulio Andreotti.

Il Presidente del Consiglio Conte e il Ministro dell’Economia Tria ce l’hanno messa tutta per convincere la UE a non avviare una formale procedura di infrazione del bilancio italiano. Col beneplacito della stessa UE che ha interesse a chiudere entrambi gli occhi per mantenere l’Italia nel gruppo europeista. Si spera che la nuova presidente europea, la nuova…Lady di ferro Ursula Von der Leyen avendo avuto i voti determinanti anche dai gialli delle 5 stelle sia benigna verso l’Italia sorvolando sul voto contrario datole dalla numerosa delegazione di euro parlamentari della Lega di Salvini.

Ma c’è sempre un ma… sempre che Matteo Salvini immerso fino al collo nella vicenda dei presunti 65 milioni di rubli da incassare per la campagna elettorale europea della Lega riuscirà a convincere Parlamento e magistratura della sua assoluta estraneità. Se emergeranno altri fatti da inchieste giudiziarie o gole profonde, cioè se il Russiagate aprisse ancora di più la porta delle rivelazioni, sarà difficile per Salvini continuare a fare spallucce. E sarà assai difficile sfuggire dalle responsabilità collettive dello stesso Governo. Alla fine Conte ha dovuto impegnarsi in prima persona per una “informativa” dopo avere preso tutto il tempo che gli era possibile per procrastinare. Facendo lo gnorri. E ha riferito al Senato il 24 luglio. Storica e infausta data. Il Presidente Conte ha sfidato la smorfia e si è premunito di rossi cornetti e amuleti vari per scacciare il malocchio? Oppure ha rivelato un suo limite culturale o mnemonico? Il 24 luglio del 1943 alle ore 17 si riunì a Roma l’organo supremo del regime, quel Gran Consiglio del Partito Nazionale Fascista che in una seduta storica decise il principio della fine di Benito Mussolini

Già, i guai di Matteo Salvini. Perfino il co-vice presidente Luigi Di Maio, certamente per indebolire l’alleato della Lega, vuole la costituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare sul finanziamento dei partiti. Tutti però. Tutti i coinvolti taceranno e buona notte. Una strada questa già infelicemente battuta da Bettino Craxi sperando nel silenzio generale. Solo lui però dovette fuggire ad Hammamet. In soccorso di Salvini sono giunte anche non proprio disinteressate dichiarazioni di Silvio Berlusconi. L’amico Putin l’avrebbe rassicurato che la Russia non ha mai finanziato partiti né uomini politici italiani.

Le questioni aperte sono parecchie. E nulla escludono. Un rimpasto ministeriale?

Una vera e propria crisi di governo? Ormai ne sono convinti gli stessi protagonisti ma nessuno vuole prendersi la responsabilità di aprirla. Il cerino acceso passa di mano in mano mentre i motivi di disaccordo si moltiplicano e si accentuano. L’autonomia differenziata ha già portato ad uno scontro aperto tra i governatori di Lombardia, Attilio Fontana e del Veneto, Luca Zaia ed il Presidente del Consiglio. Parole di fuoco, insulti, addio ad ogni reciproco rispetto. Il progetto governativo di riforma definito cialtroneria. Ma è in gioco la unità del Paese ed il rispetto della Costituzione contro ogni sgretolamento dello Stato repubblicano. Se ne avvedrà il Presidente Mattarella.

Nuove elezioni si avvicinano malgrado i ripetuti ingannevoli annunci che al governo loro ci staranno altri 4 anni. Questa volta però la partita sembra molto dura.

Il PD di Nicola Zingaretti appare assai determinato ad andare fino in fondo e chiede formalmente che Salvini se ne vada, dia le dimissioni insieme a tutto il Governo e finisca la vergognosa manfrina. Pronto ad una lotta dura nelle aule parlamentari e nel Paese il Partito Democratico non solo dichiara finito il tempo della ricreazione ma sollecita nuove elezioni da farsi al più presto. Decisamente Zingaretti esclude alleanze con i 5 stelle. Si tolga ogni illusione chi pensa a soluzioni del genere.

Il PD nella ingarbugliata situazione politica vuole giocare un ruolo non indifferente. Lo si è capito dai lavori della recente Assemblea Nazionale del Partito durata qualche ora di più delle solite passate sbrigative sedute. Il neo segretario vuole ascoltare includere trattare col altre forze politiche che non solo avvertono i pericoli del momento per la democrazia del nostro paese ma sentono la necessità di tracciare una strada, di indicare un orizzonte per uno sviluppo del nostro Paese che non dimentichi, anzi privilegi le classi più disagiate. Quindi decisioni immediate, partendo dal Partito, dalle sue strutture interne, dai rapporti con tutte le altre forze politiche e sociali. Niente cerchi magici ma spazio per tutti coloro che voglio bene al PD e al Paese e non pensino solo al loro personale avvenire politico. Verrà rinnovato l’obsoleto statuto e l’incarico è stato dato a Maurizio Martina, un bergamasco concreto non uno che ama spingere le nuvole. Già indicate le linee nuove. Gli organi di Partito ad ogni livello saranno eletti dagli iscritti, non più anche dai passanti ai gazebo. I circoli torneranno ad essere ancoraggio e sensori del territori e dei loro problemi, soprattutto quelli della gente. Gli organi dirigenti non saranno pletorici di finta consultazione ma snelli. La comunicazione avrà una attenzione particolare, sarà moderna, adeguata ai tempi.

 Altra cosa l’indicazione del candidato premier che non obbligatoriamente sarà lo stesso segretario del PD. Le due cariche potranno essere separate in relazione alle decisioni che prenderanno comunemente tutti gli aderenti ad uno schieramento elettorale che condividerà programmi e metodi. Preso atto con tanto ritardo della mancata prospettiva del partito maggioritario tracciato oltre 10 anni or sono da Walter Veltroni si torna al criterio del candidato della coalizione di centro sinistra. In tal caso si vareranno norme per le primarie aperte a tutto l’elettorato e regole conseguenti.

Non mancano certamente uomini che possono farsi carico di un governo di centrosinistra in grado di affrontare con determinazione e positività i problemi del Paese

Uomini non venuti dal nulla, impreparati e solo venditori di promesse. La Lombardia, macchina trainante di tutto il Paese li ha già individuati. Sono Giuliano Pisapia e Giuseppe Sala, un ex e un sindaco attuale di Milano. Hanno già dimostrato quanto valgono come leaders non solo nella saggia gestione della cosa pubblica ma anche nel difficile coinvolgimento unitario delle forze politiche.

A questo punto perderanno di consistenza le richieste di cambiare nome al Partito. Giudicare la bontà di un vino dall’etichetta sulla bottiglia non ha senso. Si parlerà di contenuti, di programmi, di valori. Soprattutto il PD intende abbandonare La maledizione storica della sinistra dove chi non è d’accordo prende cappello e divide. La dialettica interna del PD va garantita ma le decisioni prese democraticamente a maggioranza devono essere rispettate da tutti anche i dissenzienti. Un partito siffatto non potrà non avere riscontri positivi nel Paese che aspetta governi non di incapaci premiati dalle circostanze del momento. Governi che nascano non dalla voce grossa di leaders carismatici ma da coalizioni di partiti, movimenti, associazioni, rappresentanze sociali, uomini liberi di provato impegno e valore.

L’Italia è ancora ricca di talenti, volontà di fare, di ben riuscire. E anche di risorse economiche. Si tratta di scacciare le paure, gli odi, costruiti ed enfatizzati ad arte per aumentare i più disdicevoli consensi.

Buon segno la discesa in campo del valente Alfredo Ambrosetti e di un buon gruppo di teste pensanti riunite nell’“Associazione per il progresso del Paese”.

 Il PD ha le condizioni per recuperare prestigio, consensi e rappresentare una forza politica vincente nella difesa della democrazia e nel suo positivo sviluppo.

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