Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Urbi et Orbi

STORIA DI DUE TALPE

PAOLO CREMONESI - 08/11/2019

metrocGiacciono ad alcune decine di metri sotto il centro di Roma le due gigantesche talpe della metro C. Non ci sono più soldi, né per andare avanti, né per tirarle fuori. Filippa, così è stata soprannominata la prima talpa, ha completato la sua corsa lasciandosi alle spalle il Colosseo. Ha alzato bandiera bianca sotto via dei Fori Imperiali. Il progetto per realizzare la stazione di piazza Venezia non c’è. E tanto dal Ministero quanto dal Comune non sono arrivate risposte agli appelli dei costruttori. Senza stazione non c’è possibilità di fare uscire dal sottosuolo il ‘mostro’ che sarà così presto coperto da una colata di cemento.

Stessa sorte toccherà a breve alla gemella Shira.Episodio che è perfetta metafora della odierna capitale: immobile e impaurita.

Raccolta dei rifiuti, manutenzione stradale, autobus e scale mobili, gestione dei parchi e dei cimiteri, traffico e burocrazia comunale. Il report di controllo sui servizi della capitale, stilato sulla base delle risposte a un questionario, consegna un giudizio impietoso. Quasi tutte le voci vengono bocciate. Si salvano solo servizi idrici (7,8) e cultura (6,9). Farmacie e taxi raggiungono una risicata sufficienza (6).

Ma da dove nasce tanto sfacelo? Colpa solo della sindaca? Delle amministrazioni precedenti?

Epicentro mondiale dell’ozio creativo per Goethe, lenta e senza energia per Stendhal, ammantata di divina indifferenza per Matilde Serao, Roma sembra trascinarsi una pesante eredità che la politica non basta ad esorcizzare. “È triste zigzagare tra le sue meraviglie fatiscenti” commenta lo scrittore americano Mark Twain. Ci alimentiamo della polvere e del decadimento fino al punto che ci sembra ammuffire anche noi”.

Centocinquant’anni dopo, secondo Giuseppe De Rita “il vero problema è trovare o ritrovare quei soggetti intermedi che permettano alla città di ripartire. Bisogna fermare infatti il processo di ‘cetomediatizzazione’ che ha distrutto la vecchia Roma operaia, borgatara e di pubblica amministrazione”.

“Quando il massimo di immagine è quello dell’impiegato pubblico – prosegue il sociologo – che compra con o senza mutuo un appartamento per fare un bed and breakfast e garantire al figlio una rendita per tutta la vita, la spoliazione della vitalità soggettuale è completa”.

Come ha scritto Edoardo Albinati nella Scuola cattolica, Premio Strega del 2016: “L’idea di una comunità che agisca disinteressatamente per il bene collettivo, sia pure piccolo e circoscritto, a Roma è quasi sconosciuta. L’agire comune, le cosiddette buone pratiche, lo slancio associativo in questa città quasi non esistono. Ognuno, se ci riesce, bada a farsi i fatti suoi” (pag. 703).

Il passato di Roma non è stato costruito solo da papi, re o dittatori. È stato fatto da soggetti veri: grandi famiglie nobiliari, confraternite religiose, artigiani, commercianti e architetti. Oggi tutto questo sembra non esserci più. Ed è qui la sfida forse da cui ripartire.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login