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Economia

CHE FUTURO

GIANFRANCO FABI - 20/03/2020

ssnNei giorni più drammatici per tanti è forse più che opportuno riflettere su passato più o meno recente e sull’evoluzione sociale e politica dei prossimi anni. Riflettere perché sarà necessario ricostruire, sia dal profilo economico, sia da quello personale e sociale.

Stiamo riscoprendo il valore della solidarietà, dell’impegno per gli altri, della generosità del personale medico e infermieristico, della dedizione dei lavoratori di negozi e grandi magazzini, di una grande trama di rapporti sfruttando le nuove tecnologie.

Ma stiamo riscoprendo anche il valore di scelte compiute nel passato. In primo luogo quella di creare il servizio sanitario nazionale (SSN) per attuare l’art. 32 della Costituzione italiana che sancisce il diritto alla salute: un sistema pubblico di carattere universalistico in grado di fornire assistenza sanitaria a tutti i cittadini, un sistema finanziato dallo Stato attraverso la fiscalità generale e, in piccola parte, dalla partecipazione alla spesa con il sistema dei ticket.

Il SSN compirà tra poco quarant’anni: è stato varato alla fine del ’78 ed iniziò ad operare, superando e inglobando il vecchio sistema basato sulle mutue settoriali, nel luglio del 1980. Ministro della Salute era il socialista Aldo Aniasi in uno dei primi governi di centro-sinistra, guidati prima da Francesco Cossiga e poi da Arnaldo Forlani.

Il sistema affidava fin dall’inizio una responsabilità operativa alle Regioni che devono garantire i livelli essenziali di assistenza e che hanno il potere di organizzare su basi autonome l’organizzazione della Aziende sanitarie locali.

Il SSN si è collocato regolarmente ai primi posti nelle classifiche, come quelle dell’Organizzazione mondiale della sanità, di efficienza della spesa e di universalità di accesso alle cure. Due elementi, tra gli altri, lo possono dimostrare: la mortalità infantile più bassa e la speranza di vita più alta d’Europa.

Negli ultimi anni tuttavia anche il SSN ha risentito della politica di contenimento della spesa pubblica. In assoluto la spesa ha continuato ad aumentare ed ha superato i 150 miliardi l’anno, ma sono aumentate ancora di più le esigenze sia per l’invecchiamento della popolazione, sia per il maggior costo delle cure e degli strumenti tecnologici e biomedicali connessi.

Lo Stato non ha ovviamente risorse infinite, ma negli ultimi anni è chiaramente prevalsa nelle scelte della spesa pubblica una logica che ha spostato l’attenzione dai beni collettivi, che sono beni di tutti, ma anche e soprattutto di ciascuno, ai beni individuali, che sono un beneficio solo per gli interessati.

L’esempio più evidente è nelle misure approvate lo scorso anno e che sono state la bandiera ideologica e pratica del governo giallo-verde, Cinque stelle-Lega.

Reddito di cittadinanza e quota 100, che costeranno quest’anno rispettivamente otto e cinque miliardi, sono palesemente due misure destinate chiaramente a singoli cittadini. Il reddito di cittadinanza avrebbe avuto una giustificazione se fosse stato limitato ad una vera assistenza alla povertà, mentre le politiche attive del lavoro non hanno dato risultati perché avrebbero avuto bisogno di altri mezzi e altre strategie. E dimenticando peraltro che la povertà la si affronta non solo con i sussidi economici, ma anche con servizi efficienti sull’ampio fronte sociosanitario.

Ma ancora più criticabile è quota 100, una misura dettata solo dalla logica di fare il contrario di quanto avevano fatto, peraltro in situazione di difficoltà finanziaria, i governi precedenti. Con questa riforma non solo sono aumentati i costi per le nuove pensioni, non solo sono diminuite le entrate perché ovviamente chi va in pensione non paga più i contributi, ma sono uscite dal lavoro migliaia di persone tra i 60 e i 65 anni (tra cui molti medici ed infermieri) che avrebbero potuto continuare a dare un contributo attivo alla creazione di ricchezza per la collettività.

L’inganno e l’illusione che sta alla base di queste misure è che un aiuto individuale possa sommarsi l’uno all’altro creando un benessere collettivo.

Ma è un inganno e un’illusione. Sono i beni collettivi come la sanità, l’istruzione, le infrastrutture pubbliche, i servizi sociali, disponibili per la generalità dei cittadini, che possono aumentare molto di più il benessere e la sicurezza sociale di tutti.

Nel secolo scorso, per dirla tutta, i Governi guidati dalla tanto criticata Democrazia Cristiana (un partito fatto di persone e che quindi può aver commesso anche molti errori) avevano indirizzato il paese verso la promozione dei beni collettivi con ricadute positive per tutta la società per quindi per ciascun cittadino.

E peraltro proprio una società più equa e sicura può lasciare più ampi spazi all’iniziativa privata, all’imprenditoria, al libero mercato. A tutti quei fattori che creano innovazione e progresso economico.

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