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Economia

IL FUTURO CHE VERRÀ

MICHELE GRAGLIA - 05/06/2020

frecceNon voglio cadere nello stesso errore compiuto da molti in questo lungo periodo di gestione della pandemia: esprimere certezze e sentenze che nella grande maggioranza dei casi vengono smentite nell’arco di poche settimane.

Mi limito alle mie preoccupazioni e speranze per il futuro che verrà.

Ho il timore che anche questa volta non si sappia “far tesoro dell’esperienza”. E’ un timore diffuso che non riguarda un ambito specifico.

Una crisi di tale portata deve essere il punto di cambiamento, lo stimolo a ripartire con regole nuove.

Vivremo mesi molto duri, con una disoccupazione in crescita e una domanda certamente debole. Una situazione già vissuta, anche se nei numeri meno violenta, nel 2008, dopo la crisi “Lehman Brothers”. Purtroppo molte delle riforme allora auspicate per cambiare e rendere il nostro paese più solido e competitivo sono rimaste nel cassetto e oggi ne paghiamo di nuovo le conseguenze.

Un debito stratosferico ci costringe a far finta di essere padroni di noi stessi quando, in realtà, dobbiamo accettare le condizioni di altri paesi “amici”; una burocrazia incontrollata non ci permette di usare efficacemente le risorse anche disponibili; una carenza di credibilità e affidabilità politica limita pesantemente la nostra influenza sui tavoli delle grandi decisioni.

Conseguenza di tutto ciò non può che essere una crescita della diversità di condizioni sociali e di scontri, non solo ideologici.

L’esperienza di questi mesi ha messo nuovamente in evidenza come la catena delle responsabilità non può ammettere confusione, sovrapposizioni, interferenze. Il nostro attuale Sistema Istituzionale non è oggi in grado di garantire tutto ciò e la necessaria efficienza lascia troppo spazio all’improvvisazione, spesso venduta come “creatività italiana”.

Non possiamo più permetterci di lasciare irrisolti questi problemi: una futura nuova crisi, di qualsiasi tipo, ci metterebbe in ginocchio definitivamente.

E’ necessario lavorare anche fuori dai nostri confini: l’Europa non deve continuare ad essere quello che è oggi: la crisi per questa pandemia lo ha nuovamente confermato. Solo una reale unità politica ed economica permetterà al Vecchio Continente di esercitare un ruolo nel futuro: localismi, “sovranismi” ed egoismi locali saranno la fine di ogni ambizione di sviluppo.

Sono problemi enormi, la cui soluzione non è immediata e richiede grandi risorse, in primo luogo intellettuali e morali.

La speranza è che il confronto politico non torni ad essere quello a cui siamo abituati, fatto di critiche, accuse, tranelli: il consenso immediato, specialmente se “di pancia” è nemico delle soluzioni di visione ampia.

La speranza è anche che la solidarietà, bellissima, di questi mesi fatta di sofferenza, generosità, passione non sparisca dopo aver cantato l’inno di Mameli dalle finestre, o aver applaudito le Frecce Tricolore nei nostri cieli: deve essere solida base di azioni concrete e continue, delle grandi decisioni strategiche anche lontano dai riflettori che danno visibilità.

La speranza è, soprattutto, che la competenza torni ad essere il valore su cui basare le scelte delle persone, di chi decide per gli altri: affidare il futuro all’incompetenza e alla improvvisazione avrà conseguenza irrecuperabili.

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