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Politica

REGIONI/1 50 ANNI DOPO

GIUSEPPE ADAMOLI - 05/06/2020

riformaPreviste nella Costituzione del dicembre 1947 le quindici Regioni a Statuto ordinario hanno avuto le prime elezioni soltanto il 6/7 giugno 1970, 50 anni fa esatti, e ciò ne dimostra la storia travagliata e contrastata. Non è certo il momento delle celebrazioni ma di una riflessione profonda sullo stato di salute, sulla normativa costituzionale e sui cambiamenti necessari.

La riforma più importante in questo campo è del 2001 con il nuovo Titolo Quinto voluto dal centrosinistra, osteggiato da Rifondazione comunista e dalla destra perché eccessivo nelle competenze regionali, e dalla Lega perché troppo debole o addirittura evanescente. Sottoposta a referendum, la riforma è risultata vincente con il 64,2% dei voti ma con solo il 34,1% dei votanti.

Prima del 2001 tutte le funzioni appartenevano allo Stato salvo quelle attribuite alle Regioni. La riforma del 2001, oggi in vigore, faceva un’operazione inversa stabilendo che è lo Stato ad avere legislazione esclusiva solo nelle materie elencate in Costituzione. In realtà sono rimaste molte funzioni “concorrenti” fra Stato e Regioni che hanno continuato a rappresentare una fitta zona d’ombra con aspri contenziosi alla Corte Costituzionale.

L’esigenza di una riforma del Titolo Quinto del 2001 era già evidente da alcuni anni e ipotizzata da politici e studiosi che credevano e credono nel regionalismo. In effetti non c’è nessun federalismo in Italia e chi ne parla non sa cosa dice. La grande crisi economica e finanziaria del 2007/2008, non ancora recuperata prima dello scoppio della pandemia e la perdurante instabilità politica, hanno frenato il necessario cambiamento.

Il corona virus ha più che mai evidenziato l’urgenza di quella riforma per evitare i conflitti fra Stato e Regioni. Le linee guida della Sanità devono essere dello Stato, la trasversalità delle competenze molto ridotta e va codificata la salvaguardia nazionale per tutte le calamità nazionali.

Allo stesso modo, il superamento del sistema regionale e il centralismo operativo sarebbero un errore clamoroso. Andrebbero piuttosto accorpate diverse Regioni anche se questo scatenerebbe delle irriducibili opposizioni territoriali.

I Presidenti e i Consigli regionali eletti democraticamente rappresentano un valore. I presidenti però (che storpiatura chiamarli governatori) non possono comportarsi come dei capi di piccoli staterelli intenti a guadagnare popolarità e a rivendicare nuovi spazi in conflitto con lo Stato. I recenti comportamenti dei presidenti della Calabria, Jole Santelli, e della Sardegna, Christian Solinas, non vanno assolutamente permessi.

Detto questo, chi si lamenta della bassa qualità degli amministratori regionali si ricrederebbe subito se facesse il confronto con molti parlamentari e ministri in carica, il più delle volte scelti dai partiti senza legittimazione democratica.

La centralità delle Regioni nella Sanità non deve far dimenticare le altre importanti funzioni che esse svolgono. Vero che gran parte del bilancio è assorbito dalla sanità ma rilevanti e decisive sono le competenze in materia di territorio, lavori pubblici, urbanistica, welfare, lavoro, trasporti (vedi FNM) formazione professionale, agricoltura.

Il finanziamento di molte opere pubbliche non entra nel bilancio regionale in quanto non può che provenire dallo Stato che ha il potere fiscale, ma le priorità e i progetti sono spesso programmati dalla Regione. Un chiaro esempio è dato dall’urbanistica che non ha costi economici ma è decisiva per la qualità della vita. L’economia green se non sarà spinta dalle Regioni non decollerà.

Una riforma del Titolo Quinto è dunque necessaria ma va fatta con l’intenzione di riordinare meglio le funzioni delle Regioni e non di marginalizzarle. Ne andrebbe della qualità democratica dell’Italia.

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