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Economia

RIPARTIRE

GIANFRANCO FABI - 18/06/2020

ripartirePiù si accumulano i dati economici su questo primo semestre dell’anno più appare evidente la dimensione di una crisi economica senza precedenti. E non poteva essere altrimenti con il blocco per oltre due mesi delle attività produttive e con una riapertura caratterizzata dalle limitazioni, dai vincoli, dalle meticolose procedure di sicurezza.

A parole le strategie per uscire dalla crisi sembrano chiare. Da una parte ci sono, anzi ci saranno, i fondi dell’Unione europea che arriveranno in parte come prestiti, in parte come sostegno agli investimenti. Dall’altra parte ci sono le riforme, in particolare quella della pubblica amministrazione, che dovrebbero facilitare l’approvazione dei progetti esecutivi e dei relativi appalti.

Di fatto questi interventi appaiono ancora lontani e indefiniti. Per i fondi europei c’è da vincere la resistenza dei piccoli paesi (Austria, Olanda, Danimarca e Svezia) che pur rappresentando solo il 5% della popolazione possono giocare il loro diritto di veto sulle decisioni comunitarie. Per la riforma della pubblica amministrazione siamo ancora più in alto mare: non ci sono progetti concreti che possano segnare un cambio di passo. Eppure viviamo in un mondo in cui la trasformazione digitale potrebbe nel giro di poco tempo cambiare e rendere molto più efficiente il sistema pubblico. Il problema di fondo è che c’è un’enorme tentazione della burocrazia, quella di continuare a fare sempre le stesse cose, magari in un modo diverso grazie ai computer e alle reti. La grande novità delle ultime settimane del Comune di Milano per esempio è che per i certificati non c’è più bisogno di andare all’anagrafe perché possono essere richiesti alle edicole. Eppure nella maggior parte dei casi sarebbe possibile abolire puramente e semplicemente i certificati permettendo alle diverse organizzazioni di incrociare i loro dati.

L’emergenza economica potrebbe essere l’occasione per cambiare le vecchie logiche della politica economica, ma l’impostazione ideologica dei partiti, sia quelli al Governo, sia quelli all’opposizione non lascia sperare nulla di buono. Quello che sembra prevalere infatti è una visione assistenzialistica e protezionistica, più che una spinta a mobilitare tutte le risorse disponibili per sostenere la forza competitiva delle vecchie e nuove imprese. In questa prospettiva sarebbero completamente da ridiscutere le concessioni del recente passato, dagli 80 euro di Renzi, a quota 100 della Lega, al reddito di cittadinanza dei 5stelle: tutte misure che hanno privilegiato i beni individuali rispetto ai beni collettivi e infatti sono state finanziate con i tagli alla sanità e con il mantenimento di livelli di tassazione elevati soprattutto per le imprese.

Eppure le risorse per concreti progetti di rilancio ci sarebbero. Basti pensare che gli italiani nel solo mese di marzo hanno depositato in banca 16,8 miliardi di euro rispetto ad una media di 3,4 miliardi nei mesi precedenti. E questo perché i consumi si sono fermati mentre gran parte dei redditi e delle pensioni hanno continuato ad affluire alle famiglie. La tentazione del Governo è di trasformare il risparmio privato in spesa pubblica, magari attraverso qualche nuova forma di tassa patrimoniale giustificata dall’emergenza sanitaria. Sarebbe una tentazione pericolosa. Per ripartire i due elementi più importanti sono i consumi e gli investimenti privati. I consumi possono essere spinti da una ritrovata fiducia nel futuro, gli investimenti da quello spirito imprenditoriale che fortunatamente costituisce una dei punti di forza italiani.

E invece ci ritroveremo con nuove emissioni di titoli pubblici e con un aumento continuo del debito. E con il rischio di allontanarci dall’Europa proprio mentre il mercato unico, una moneta stabile e i nuovi fondi europei potrebbero essere decisivi per aiutare l’Italia a RIPARTIRE.

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