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Chiesa

STENDI LA TUA MANO

MASSIMO CRESPI - 13/04/2012

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”.

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”.

Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. (Giovanni 20, 19-31)

Caravaggio, Incredulità di san Tommaso, 1600-1601

Come il Padre ha mandato Gesù, anche Gesù manda noi. Ci aspetta la sua missione, che è tutta sostanziata nell’avverbio con cui iniziano le parole riportate da Giovanni: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Nello stesso modo di Gesù, “come” Gesù, veniamo mandati, inviati: dobbiamo andare. Già, ma in quale modo? Qual è la sua maniera di muoversi, di camminare? Egli va attraverso le genti per convertirle, testimoniando l’amore del Padre e il progetto della salvezza universale; egli cammina con decisione e coraggio nella direzione dei poveri peccatori ignari della verità; si muove continuamente e soprattutto per porgere la propria amicizia, anche quando costa tantissimo. Soffrirà, morirà, risusciterà Gesù, vincendo ogni male e convincendo senza discussione. E noi dovremmo ricalcare le sue orme. È difficile, tuttavia se davvero Gesù trionfa, allora vorremmo rimanere con lui. Se è giusto, lo serviremmo volentieri; se ci vuole enormemente bene, lo terremmo sempre con noi; se è così però! Tommaso non si fida: anche noi. Vogliamo prove che supportino la bella teoria del Cristianesimo. Così il Salvatore ce le fornisce, perché crediamo “che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio” e perché credendo abbiamo “la vita nel suo nome”, ma avvisa che saranno “beati quelli che pur non avendo visto crederanno”. Possiamo, se vogliamo, mettere il dito nel posto dei chiodi e vederne il segno, possiamo stendere la mano e metterla nel suo costato sanguinante, ed in tal modo convincerci che è davvero Cristo Risorto la persona che ci sta davanti, con la sua storia, la sua cultura, la sua affettuosità. Possiamo vedere quei suoi segni di tortura, quel sangue salvifico. Cristo c’è, grondante eppure radioso poiché risuscitato dalle tenebre mortali dov’era stato posto. Guardiamolo negli occhi della donna brutalizzata quando denuncia la violenza sentendosi compresa e tutelata dalle persone e dalle strutture che la accolgono; palpiamolo nelle guance del bambino trattato male che finalmente trova una casa per giocare dopo averne persa una che lo conteneva soltanto, mentre tentava di crescere; tocchiamolo nelle membra di chi porta l’handicap in giro per la strada allorché trova qualcuno disinvolto che tasta le sue braccia anchilosate e spinge le sue gambe atrofizzate; sentiamolo nei capelli incrostati del senzatetto che si rallegra perché qualcuno gli offre del conforto senza disgusto; percepiamolo nei gesti dell’affamato che esulta per un pugno di riso che gli viene scodellato; sfioriamolo nel corpo debole del civile ferito nella guerra, che non rinuncia a guardare con fiducia chi lo visita. Guardiamolo nel volto del potente caduto dal trono dell’iniquità, se scopre l’altezza, la grandezza della giusta pietà di chi non lo vuole mai strisciante per terra. A questo povero cristo, raggiante per il fatto che siamo con lui, diciamo: “Mio Signore e mio Dio!”.

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