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Editoriale

REFERENBOOM?

MASSIMO LODI - 18/09/2020

referendumNon servono sondaggi per sapere cosa pensino gl’italiani dei loro parlamentari. Il peggio possibile. Sono troppi, guadagnano un sacco, fanno nulla. Questo è il sentiment maggioritario, figlio del qualunquismo fiorito anche su impulso di buona parte dei rappresentanti che i rappresentati eleggono. Oddio, eleggono. Grazie all’attuale legge, negatrice delle preferenze, sono i partiti a indicare i nominati. E nei partiti, i segretari. Sicché la sfiducia circolante lievita e si volge in pericoloso siluro mirato non solo ai populisti che, invece d’abolire la povertà di massa, hanno soppresso la ricchezza della competenza individuale.

In questo mediocre scenario si colloca il referendum per il taglio degl’insediati a Camera e Senato. Quasi tutti i partiti si erano pronunziati per il sì, con tanto di doppio voto in aula. Molti dei medesimi denunciano il disaccordo ora che si va alle urne. Ciò conferma la zero credibilità della classe politica e causerà un largo astensionismo, però ininfluente sul verdetto: non è previsto quorum, e il risultato varrà qualunque sia il numero degli elettori.

Dire di sì o di no? Sembrerebbe ovvio il sì. Da decenni si sostiene l’opportunità di ridurre il numero di deputati e senatori, ora càpita finalmente l’occasione. Se sfruttata, avremo meno eletti. Che dovranno lavorare di più e giustificheranno il lauto stipendio, nell’attesa d’un suo augurabile calo. Di conseguenza, è immaginabile una maggiore efficienza. Oltre che una diversa oculatezza nell’individuazione dei candidati. Tutto vero?

In teoria. In pratica la vicenda è complessa. Un simile intervento sulla Costituzione impone di rivedere la legge elettorale. Bisognava provvedervi prima del referendum, si sarà costretti a farlo dopo. Senz’altro di corsa, probabilmente male. E comunque le due camere continueranno a svolgere lo stesso lavoro, senza che ancora siano stati modificati i regolamenti colpevoli del rallentamento d’ogni processo legislativo. Rilievi (non i soli, ma i principali) che giustificano i sostenitori del no. O quantomeno rendono comprensibile il ni: l’incertezza da cui si sentono presi in molti.

Riassumendo. Il bene è nemico del meglio, e quindi avanti con un piccolo passo anziché attendere epocali maratone. Ma prima di compierlo, appare utile rileggersi la mappa del tracciato. Quello compiuto sino a oggi, quello in programma domani. Senza che nessuno sia in grado di garantirne la percorribilità. Tutti figli di Dante, divergiamo sul fatto di vivere nel “…Paese dove il sì suona” perché abituati in qualunque circostanza a dibatterci “…nel mezzo del cammin di nostra vita”. Tanto più se vita politica. Proprio quest’equivoca medietà non esclude una soluzione finale da referenboom: il pronostico sovvertito.

Con quali conseguenze sul governo? Nessuna, per amor di cadrega della maggioranza che lo tiene in vita. Solo uno tsunami alle regionali, col centrosinistra spazzato via dal centrodestra, potrebbe causare la crisi del Pd e acuire quella dei Cinquestelle. Ma non è detto che Conte faccia le valigie. Potrebbe imporle -nonostante il fresco accordo pro immobilismo stretto con Zingaretti- ad alcuni ministri, sostituendoli. In pole Azzolina, Bonafede, De Micheli, Lamorgese. Come soluzione ultima, un esecutivo tecnico che non escluda l’attuale premier. Ma le elezioni anticipate, no. Assolutamente no.

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