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Divagando

AH, L’UNDERWOOD 2.0

AMBROGIO VAGHI - 13/11/2020

underwoodI tempi successivi alle catastrofi vanno affrontati con coraggio e soprattutto con idee nuove. Anche a Varese i cinque anni di guerra avevano lasciato rovine materiali e morali. Come reagire? Occorrevano impegno e spirito di iniziativa. Ogni cosa era cambiata dall’inizio del conflitto. Ognuno aveva avuto la sua parte di guai e di sofferenze: servizio militare, combattimenti, prigionia, internamenti, case distrutte, famiglie alla fame. Bisognava rimboccarsi le maniche, aguzzare l’ingegno e ridisegnare il proprio avvenire.

Ebbi la fortuna di vivere da vicino quei tempi di faticosa ripresa attraverso una macchina da scrivere che ha conosciuto le storie di mezza città di Varese.

Bene, da dove partiamo ? Da quella macchina. Una Underwood che si trovava al primo piano del Circolo di Belforte sezione del PCI. Era finita lì all’insurrezione del 25 aprile. Partigiani e patrioti la presero con tutto l’arredamento dell’ufficio come preda bellica dalla sede del Gruppo rionale fascista di Biumo Inferiore.

Tante erano le necessità burocratiche dei cittadini. Molti si rivolgevano al Circolo che in ore stabilite era diventato una specie di segreteria del popolo. A “battere” con quella monumentale macchina (delle poche in circolazione insieme alle Remington prima della nascita delle nostre meravigliose Olivetti) ero io con Elsa, impiegata nello studio del ragionier Lanciotto Gigli. La ragazza poi sarebbe diventata mia moglie.

Parafrasando il sommo Dante della Francesca da Rimini nel caso mio e di Elsa, ridendoci su, potremmo ben dire che “galeotta” fu quella macchina.

Da quella Underwood sono uscite le fortune di tanta Varese. Penso prima di tutto al caro amico Mario Bernasconi da tutti conosciuto come il Mario Padèla, impropriamente perché il vero Padèla era suo padre. Un uomo intraprendente che ogni mattina portava nelle case “ul pan da Com” considerato miracoloso perché impastato con l’acqua comasca. Il pomeriggio passava nei cortili vendendo padelle e altri attrezzi da cucina. Si muoveva con cavallo e barroccio di sua proprietà e non se la passava male. Si era fatta in fondo al Viale Belforte una casa di quattro piani sfruttando i diversi livelli stradali con uscita anche in via Istria verso la chiesa del Lazzaretto. Fu questa casa l’inizio della fortuna del Mario, ottimo tecnico elettromeccanico specializzato nei riavvolgimenti in rame dei motori elettrici. Teneva la sua piccola officina al piano terra della casa. Era tornato dopo anni di servizio militare e dall’espatrio in Svizzera e pure il suo lavoro riprendeva lentamente e con difficoltà.

L’Ansaldo di Genova aveva messo in vendita tutto quanto si trovava in un capannone bombardato durante il conflitto. La grande azienda ligure voleva liberare in fretta tutta quell’area. Acquistare quei residuati ad occhi chiusi voleva dire prendersi il tutto nello stato in cui si trovava. Tutto, macerie e motori seppelliti. Una lotteria.

Il prezzo era buono e il Mario decise di parteciparvi. Ma i soldi ? Il Credito Varesino li avrebbe anche dati se avesse avuto in garanzia, ipotecandola, la casa del papà in Viale Belforte. Un bel rischio. Facemmo insieme tutta l’operazione. Tutto finì bene. Mario trovò la sua miniera d’oro, fatta di tanto rame con motori a non finire e in ottimo stato. Lì iniziò la sua fortunata scalata tra gli imprenditori varesini. Forniture di materiale elettrico, gestione di negozi, esclusive dalla Ignis, iniziative immobiliari. La sua lungimiranza era stata premiata.

Una strada nuova la stava cercando anche il fratello Bruno, un bell’uomo, appassionato di atletica e di calcio, lui stesso ex buon atleta. Non perdeva un avvenimento sportivo. Ricordo che si recò a Milano all’Arena per godersi la storica sfida tra il tedesco Harbig e il nostro Lanzi sui 400 metri piani.

Bruno aveva rapporti con floricultori della riviera ligure e pensò di metterli a frutto partecipando a un concorso indetto dalle Ferrovie dello Stato: vendere fiori freschi ai viaggiatori in arrivo alla Stazione Centrale di Milano. Proprio così. Era d’uso ed elegante portare un omaggio alle persone dove si andava in visita. I treni in arrivo quindi erano attesi da attrezzati carrelli carichi di un vasto assortimento floreale. Bruno fece il concorso, complice quella macchina da scrivere, e lo vinse.

Chi aveva idee e coraggio si fece largo nel ricercare strade nuove. Così bisognerà fare all’uscita dell’attuale pandemia. Un ritorno al passato senza profonde innovazioni non pagherà. Speriamo che se ne convincano molti che oggi protestano anche con violenza.

Le vicende famigliari di questi amici coraggiosi non ebbero altrettanta fortuna. Mario vide morire di parto la sua giovane moglie e allevò con tanto amore la neonata Gabriella.

Bruno addirittura lasciò tutti costernati. Mori in un tragico incidente stradale mentre con altri amici stava recandosi alla partita di calcio Modena – Varese. Fatale gli fu la grande passione sportiva per i biancorossi. Nel lavoro lo sostituì la moglie Tisbe, una donna intelligente e determinata. Portò avanti il commercio dei fiori aprendo chioschi fuori dei cimiteri. Ci ha lasciati poco tempo fa. Allevò con affetto e rigore educativo l’unico figlio Cesare. Il Cesarino per gli amici, che emerse e primeggia tuttora in diversi campi della vita sportiva e in quella economica con importanti rappresentanze di marchi internazionali.

Quella macchina da scrivere, testimone di molte vicende, dove sarà finita ? La manutenzione la curava allora un bravo artigiano di Bizzozero, fino a quando non arrivarono le prestigiose Olivetti che conquistarono il mondo.

Quanto sarebbe bello recuperare quella famosa macchina. Esisterà ancora ? Forse nelle mani di qualche collezionista. Il modello IO è ancora largamente offerto anche dalla casa madre che lo fornisce a prezzi speculativi pur trattandosi di fabbricazione attuale.

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