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Editoriale

MERIDIONALI

MASSIMO LODI - 21/05/2021

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Ugo Ojetti e Indro Montanelli

Sentenziò Ugo Ojetti, celebre giornalista e scrittore otto-novecentesco, mai tramontato d’attualità: si è sempre meridionali di qualcuno. S’aggiunse l’autorevole sostegno di Indro Montanelli: il settentrionalismo rappresenta un vezzo costante degl’italiani. Vezzo ovvero difetto. Cioè? È rischioso fidare nella superiorità verso un prossimo giudicato inferiore. Superiorità geografico-culturale: i presunti migliori si autocollocano in un mondo ad alta latitudine, non raggiungibile dagl’immeritevoli d’appartenervi. Ma ignorano che, un giorno o l’altro, comparirà qualcuno più settentrionale di loro, e ne diventeranno i meridionali di turno. Guai ai puri inconsapevoli di poter diventare impuri.

Quando un partito di governo, ottenuto un risultato, se ne avoca la primogenitura e subito sposta il traguardo più avanti, secondo la strategia che può definirsi del “più uno”, ricorda la zero efficacia del citato settentrionalismo. Un esempio: Salvini, credendo di praticarlo, non perde occasione (leggete qui accanto Roberto Cecchi) di far passare per suoi i successi del governo Draghi, e intanto ne mina le basi, paventando scenari di rottura qualora il premier imboccasse la via del riformismo, peraltro l’unica funzionale all’utilizzo della montagna di denari europei. Meridionalizzato dalla Meloni, che si giova della grancassa d’unica oppositrice, il Capitano cerca il profitto mediatico d’un giorno, anziché quello di lungo periodo del Paese. Pratica lo stantìo metodo del partito di lotta e di governo, ignorando che i sondaggi lo puniscono invece d’apprezzarlo: riecco la meridionalizzazione del settentrionalista. Il suo atteggiarsi evoca le parole di Montesquieu, nome da mancato centravanti, che scrisse nello “Spirito delle leggi”: “Quando i selvaggi della Louisiana vogliono un frutto, tagliano alla base l’albero e raccolgono il frutto”. Per dire fin dove possano condurre: 1) la prevalenza del vantaggio individuale sull’interesse collettivo: 2) la presunzione di centrare l’en-plein a scapito dei meno furbi.

Sbaglia però Letta a obiettare a una simile tattica con raffiche di penultimatum: o Salvini la smette o esca dal governo. È una dilettantesca meridionalità da saputo settentrionalista. ”A brigante, brigante e mezzo” ammoniva il maestro d’astuzie Craxi. Voleva significare che i conti politici si regolano con l’arma machiavellica, non con annunci senz’alcun seguito pratico. Nel caso specifico, il segretario del Pd farebbe meglio a rivolgersi agli elettori leghisti, specialmente ai ceti produttivi della mezz’Italia sopra la linea gotica, per chiedergli se alla nuova tornata elettorale sarà meglio fidarsi di chi non sfascia per costruire invece di chi costruisce per sfasciare. A un altro nome da mancato centravanti, Nicolas de Chamfort, dobbiamo questo perfido candore: “Di un uomo molto preso da sé stesso si potrebbe dire che brucerebbe la vostra casa per cuocersi due uova”. Non un’accusa d’arroganza, ma d’illogicità. La peggiore possibile, per gli altezzosi che si credono bravissimi, pur non avendo mai letto Ojetti e Montanelli né aver giocato al fantacalcio con Montesquieu e de Chamfort.

 

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