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Il racconto

BADABÀM

ANNALISA MOTTA - 23/12/2021

micio…Che poi io sono un tipo riservato, mi faccio gli affari miei, vado e vengo quanto mi pare e non mi lego a nessuno. Giusto un posticino tutto mio, per passare alla meno peggio la giornata, lì in fondo alla spianata, avete presente? Dove si alzava quel muraglione che poi è crollato tutto d’un colpo, una scossettina di terremoto magari, capita dalle nostre parti. O perché era troppo vecchio, “millenario” si diceva in città, addirittura dei tempi di re David. Vai a saperlo, fatto sta che un bel giorno badabàm! è venuto giù di punto in bianco, e meno male che il mercato stava già sbaraccando, altrimenti… Non che a me importasse più di tanto, tutti poveracci con le loro stuoie impolverate e la merce da quattro soldi, che manco gli avanzi lasciano sulla piazza. Ma poi la gente diventa sospettosa quando succedono queste cose, comincia a guardarti male, pensa che tu sia un menagramo, se incroci la loro strada ti evitano, fanno gli scongiuri, e a me sinceramente dà proprio sui nervi.

Beh, io in quell’angolo sotto il muro ci avevo fatto il mio rifugio, giusto per tener d’occhio il quartiere, al sicuro dal traffico di carri e carretti; e pure calduccio d’inverno, con le stalle a due passi. Non che io patisca il freddo, tutt’altro, è uno dei doni che mi ha fatto Adonai, – benedetto sii Tu Signore! – ma con l’età le ossa si fanno rigide e i movimenti lenti, e insomma riuscire a dormire tra mucche e muli, d’inverno, è un vero dono del cielo.

Così, adesso che il muro non c’è più, mi sono trasferito fuori città: quattro case e un forno, ma per quanto riguarda le stalle…niente da dire! Una vera pacchia.

Come stasera, che fa un freddo birbone. Da Gerusalemme spira un’aria umida e gelida, chi viene pellegrino dal mare della Galilea racconta di alberi fioriti, di notti tiepide, ma qui, alla Casa del Pane, stai sicuro che il mese di Kislev è freddo davvero.

Beh, io me ne sto qui a spiare il momento buono per sgattaiolare nelle stalle, magari quando il mandriano se ne va alla locanda: per evitare sassate, si sa mai.

Solo che, aspetta e aspetta, non so perché ma stasera c’è un andirivieni che nemmeno alla festa delle Capanne. Gente che passa, che borbotta, che si chiama, porte che sbattono, e facce nuove, tante facce nuove e straniere. E odori insoliti, e parlate sconosciute, e bisacce e mantelli buttati in ogni dove. Potrei anche approfittarne e sgraffignare qualcosina, magari è la mia notte fortunata.

Ecco, ecco, lo steccato si sta aprendo, la corda levata dal paletto, dai che è il momento giusto…

Ma no, il capo parlotta con qualcuno, e chi sono questi? Che entrano proprio lì, nella “mia” stalla. Un asino, un uomo imbacuccato, un grosso fagotto sull’asino: rettifico, il fagotto è una donna, forse anziana, fa una grande fatica a scendere.

Beh, ma che me ne importa? io ci provo ugualmente. Mi faccio piccolo piccolo: ecco, sono entrato. E guarda un po’: il fagotto non è una vecchia, anzi, è giovanissima, solo che ha un grande pancione. Ma dico io se si deve andare in giro di notte con una ragazza incinta: che fratello, che padre, o addirittura, che razza di marito lo farebbe? Un tipo poco raccomandabile, quindi, questo straniero. E se girasse col coltello alla cintura?

Lei si accascia sul fieno: e se mi sentisse? e se mi vedesse? e se…

Oddio che occhi.

C’è dentro il cielo stellato e il sole all’aurora, la brina che scintilla sui prati e la schiuma del mare, il calore del fuoco e il fresco della brezza, e una musica, ma una musica che mai ho udito eppure mi risuona dentro.

Mi guarda. Mi ha visto, e mi guarda.

Non voglio scappare, voglio restare qui. Per tutta la notte. Per sempre.

“Oh Giuseppe, che bel micio nero è entrato nella stalla! Facciamogli posto, che si scaldi anche lui!”.

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