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Attualità

DA SACRI A PROFANI

SERGIO REDAELLI - 04/02/2022

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La chiesetta di S. Siro abbandonata alla Baraggia di Viggiù

Chiese sbarrate al pubblico o vendute a speculatori immobiliari, spogliate degli oggetti d’uso quotidiano che contengono, trasformate in luoghi di divertimento e private del loro valore spirituale, sconsacrate o affittate alla fiorente industria dei matrimoni. La denuncia, pesantissima, è dello storico dell’arte Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, giornalista e autore del libro-inchiesta “Chiese chiuse” (Einaudi, 2021). Sotto accusa i luoghi sacri inaccessibili, piegati alla logica degli affari e visitabili solo a pagamento come musei. Un bene pubblico, un “ben di Dio” che ha bisogno di “visione, prospettiva e ispirazione” per essere salvato.

Casi del genere esistono anche in provincia di Varese, basti pensare al Lazzaretto di Marnate e alla chiesetta romanica di S. Siro alla Baraggia di Viggiù con affreschi alle pareti attribuiti alla scuola di Galdino da Varese, entrambe inserite nel portale del Fai sui “luoghi del cuore” da salvare. Ma il fenomeno a livello nazionale ha grandi dimensioni. In Italia esistono 95 mila chiese, di cui 85 mila sottoposte a tutela come beni culturali. Chi decide del loro destino? I proprietari sono moltissimi, Santa Sede, diocesi, parrocchie, ordini regolari, istituti religiosi di ogni tipo, confraternite, opere pie. E poi Stato italiano, Regioni, Province, Comuni, privati cittadini ecc.

Difficile resistere all’omologazione del pensiero unico del nostro tempo, la fretta, il successo, il denaro e così in molti casi – denuncia l’autore – “non sappiamo che farcene”. Tolte le circa 500 chiese più importanti dal punto di vista storico e artistico, che sono anche le più ricche e le più sfruttate commercialmente, i luoghi sacri che vengono dal passato testimoniano con la povertà e con l’abbandono l’esistenza di un mondo spirituale lontano dalla mentalità d’oggi. “Le antiche chiese – racconta Montanari – non sfuggono al destino che incombe su tutto il patrimonio culturale italiano, il bivio avvelenato tra la rovina materiale e la rovina morale”.

Già, perché il fascino del sacro rende. Nel 2014 Oscar Farinetti, presidente di Eataly, ottenne dalla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano due guglie da esibire nel supermercato sulla Fifth Avenue a New York. A Napoli Italia Nostra ha evitato che la Curia realizzasse una caffetteria sulla terrazza absidale del Duomo. A Bologna si organizzavano gli aperitivi sui ponteggi del restauro della facciata di San Petronio. A Siena è stata lanciata l’iniziativa “Un tè all’Opera” nella cripta della cattedrale che organizza mostre a pagamento. E a Venezia l’isola di S. Clemente è stata trasformata in un resort di lusso compresa la chiesa conventuale agostiniana del XII secolo.

Discutibile la disinvoltura con cui si concedono i luoghi sacri senza verificarne le finalità di utilizzo. Per centomila euro l’anno, nel 2018, la monumentale certosa di Trisulti nel cuore della Ciociaria fu concessa per diciannove anni dal ministero per i beni culturali al Dignitatis Humanae Institute di Steve Bannon. L’ex stratega della Casa Bianca intendeva farne la sede politica di rappresentanza dell’estrema destra italiana d’ispirazione trumpiana, dichiaratamente avversa a papa Francesco. Il Consiglio di Stato, con sentenza del 15 marzo 2021, ha definitivamente sfrattato gli inopportuni occupanti.

All’estero è anche peggio. A Dublino una chiesa barocca è stata convertita in Church Bar, la cappella dell’ospedale militare di Anversa è diventata un ristorante stellato, una chiesa ottocentesca nelle Asturie una pista di skateboard, St. Peters a Liverpool un nightclub, i muri di una basilica in Canada pareti da arrampicata. Che fare per invertire la rotta? “Proviamo a cambiare il nostro pensiero, a immaginare che cosa le chiese possono ancora fare per noi e non il contrario – suggerisce Montanari – durante la pandemia lo Stato e la Chiesa potevano offrire alla scuola preziosi spazi per l’insegnamento. Possiamo salvarle per aiutarci a vivere in un altro modo”.

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