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Politica

VOTO, SOLO RUMORI DI FONDO

GIUSEPPE ADAMOLI - 06/05/2022

legge-elettoraleContinua sulla legge elettorale un rumore di fondo che non diventa mai discussione aperta e limpida. Un vero peccato perché l’amplissima maggioranza di Draghi potrebbe favorire la scelta di un sistema condiviso che vada al di là della maggioranza politica del momento con i suoi peculiari interessi tattici e strategici.

È necessario riprendere questa riflessione in quanto la quasi rinuncia a mettere le carte pubblicamente in tavola è per molti versi illogica se è vero come è vero che quasi tutti i partiti considerano insoddisfacente il sistema in vigore.

Quale sia questo sistema pochi italiani – dicono i sondaggi ­- lo sanno, dato che cambia spesso a differenza degli altri grandi Paesi democratici. Ebbene, non è un maggioritario e non è un proporzionale, i due riferimenti classici. È un sistema misto in vigore dal 2017 con il quale il 37% dei seggi è assegnato con il maggioritario nei collegi uninominali mentre il restante 63% è assegnato con riparto proporzionale fra liste concorrenti.

Dunque, né carne né pesce, un compromesso non positivo. Non si può certo dire che la profonda confusione di questa legislatura sia stata causata dal sistema elettorale ma la necessità di definire un metodo che aiuti in futuro la chiarezza politica è sotto gli occhi di tutti.

Fino a poco tempo fa il maggioritario sembrava essere la preferenza dei partiti più importanti. L’esempio più semplice a cui si ricorreva era il sistema in vigore per i sindaci: la sera stessa del voto si sa chi ha vinto e chi ha perso riducendo il fenomeno dei salti della quaglia e dei cambi di casacca.

Sembrava il sistema preferito da parte di Salvini e Meloni che lo vedevano come un mezzo per irrobustire e far vincere la loro alleanza. Lo era anche da parte della maggioranza del centrosinistra che lo riteneva idoneo a rafforzare il cosiddetto “campo largo” e l’alleanza con il M5S.

Le cose sono cambiate rapidamente. Il presupposto del centro-destra (o destra-centro) era che il capo del governo, in caso di vittoria, sarebbe stato espresso dal partito più forte cioè la Lega. Salvini appariva perciò il predestinato ma ora il quadro è diverso con la Meloni che sembra aver attuato il sorpasso. L’incertezza e l’inquietudine del leader leghista sono evidenti.

Il quadro è però cambiato anche fra centrosinistra e cinquestelle per la persistente difficoltà di un accordo strategico già in sede elettorale. Basti citare, per fare solo un esempio, gli equilibrismi di Conte sulle elezioni francesi fra Macron e Le Pen. L’unità di indirizzo sulla politica europea non può che essere il fattore decisivo per una stabile coalizione di governo. Da qui, ma non solo da qui, i nuvoloni incombenti anche su questa intesa elettorale.

Chi scrive auspicherebbe il sistema maggioritario che consegna agli elettori la scelta del governo e che adesso appare di ardua approvazione. Ma piuttosto che il sistema ibrido in vigore sarebbe meglio il proporzionale con una buona soglia di sbarramento per evitare la moltiplicazione delle liste.

L’inazione su questo tema è foriera di occasioni mancate e di improvvisazione dell’ultimo momento che potremmo pagare ben care.

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