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Storia

LORD BYRON A SESTO CALENDE

FERNANDO COVA - 18/05/2012

Lory, veduta di Sesto, 1811

Lord George Gordon Byron (1788-1824) scrisse un ricco epistolario fra cui numerose lettere indirizzate a John Murray che era il curatore delle sue opere. I testi raccolti e pubblicati sono tenuti tuttora in grande considerazione dagli inglesi.

Dallo stralcio della seguente lettera si viene informati della cattiva fama che aveva la frontiera posta a Sesto Calende:

“A John Murray, Milano 15 ott. 1816,

Caro Signore, siamo giunti qui quattro giorni or sono per il Sempione e la strada del Lago Maggiore. Naturalmente abbiamo visitato le Isole Borromee che sono belle, ma troppo artificiali… Avevamo sentito varie voci, e preso precauzioni sulla strada presso la frontiera contro certi “molti degni compari (ossia, felloni) in giro “che qualche tempo fa avevano saccheggiato certi viaggiatori presso Sesto o Cesto – non ricordo bene – di liquidi e indumenti, oltre a causar loro spaventi corporei. Noi però non siamo stati molestati. In questo qui è un po’ come la Turchia ma peggio, perché qui puoi trovare un distaccamento di furfanti così nutrito da pareggiare quello dei banditi regolari mentre i gendarmi hanno fama di non valere gran che..”..

Peggior sorte subì nel 1834 il viaggiatore scozzese Henry Mc Lellan che così descrive il passaggio della frontiera a Sesto: “Abbiamo preso una barca per Sesto Calende, un breve viaggio di circa due leghe. All’arrivo siamo stati sottoposti ad un minuzioso controllo da parte del governo austriaco. I nostri bauli sono stati portati in dogana, e non solo sono stati controllati ma noi stessi siamo stati obbligati, come al solito, a rimunerare l’avida soldatesca a cui sono affidati i dazi doganali. Dopo questo siamo andati dall’ufficiale di polizia che, invero, ci ha trattati in modo molto cortese sebbene il nostro controllore non ci abbia lasciato senza il suo dovuto bottino.

La città era letteralmente brulicante di questi signori in divisa.

Va da sé che con il loro aspetto altero, nelle loro belle uniformi, giubba blù e pantaloni bianchi, avessero un aspetto elegante”.

La lettera di Byron continua con la descrizione di quanto visto a Milano e degli incontri programmati. Curioso, nella stessa lettera, quanto appreso su Beccaria: “A proposito, ho appena sentito un aneddoto su Cesare Beccaria che pubblicò cose così ammirevoli sulla pena di morte. Poco dopo l’uscita del suo libro, il suo servo (avendolo letto, immagino) gli rubò l’orologio e il padrone, mentre correggeva le bozze di una seconda edizione, fece tutto quanto poteva per farlo impiccare, a titolo di pubblicità”.

Questo stesso episodio è presente, in forma differente, nella lettera di Ugo Foscolo del 7 maggio 1817 inviata all’Albrizzi, prima amata e poi considerata sempre come confidente, sulla base di quanto dettogli dalla sorella, dal fratello e dalla figlia dello stesso Beccaria che dopo il furto pretendeva che venissero dati “tratti di corda” al servo per farlo confessare.

Evidentemente quanto da lui asserito nel suo trattato “Dei delitti e delle pene” doveva essere applicato da altri e non certo da lui.

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