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Editoriale

SFIDA

MASSIMO LODI - 06/10/2023

salvini-meloni-2Prima la sensazione era che la Meloni, stufa d’inadeguatezze e gaffe d’alcuni suoi ministri, non vedesse l’ora d’un rimpasto di governo. Cercando l’occasione, un accidente, l’assist utile a fornirle il destro (eh, sì) per cambiare almeno un po’ la squadra in campo.

Poi, cioè ora, la sensazione è che Salvini continui ad alzare i toni della polemica estrema, facendo egli e oggi la parte che una volta fu di Giorgia, allo scopo d’ottenere il semiribaltone. Però al modo di lui, non al modo di lei. Gara/concorrenza che di tanto in tanto spinge la premier ad esserlo un po’ meno, per esempio quando innesca l’urticante polemica con la giudice di Catania che annulla l’effetto d’una normativa anti-migranti ritenuta incostituzionale. Va bene la dialettica tra poteri dello Stato, non va bene lo scontro. Altrimenti addio separazione dei rispettivi ruoli, tanti saluti a Montesquieu, ciaone spazientito a Locke. Nel segno dello sgarbo istituzionale.

In una democrazia che omaggi le regole, ciascuno fa la parte che gli compete nella maniera opportuna, seguendo i percorsi disegnati dalla Carta dei diritti e doveri, non debordando nelle acque della zuffa tempestosa. Così atteggiandosi, si provoca un danno interno e internazionale, e si mina la credibilità del Paese. Ne è conseguenza -principale fra le altre- una fragilità che ostacola gl’investimenti: troppo ballerina di suo, l’Italia non è palcoscenico per farvi danzare i quattrini.

Tornando al nocciolo della questione. A cosa mira Salvini? Pare non gli vada più a genio il ministro degl’Interni, peraltro dato in sua quota quando lo si nominò. E non sia soddisfatto dall’estemporaneo protagonismo di quello alla Cultura. E lo lascino perplesso le sortite del titolare della Pubblica istruzione, idem il riservato equilibrismo della delegata alle Riforme. Neppure dei capi d’Economia ed Esteri sembra sia un tifosissimo, però Tajani e Giorgetti non si toccano. Non si possono toccare. In ogni caso: sul piatto rivendicatore verrà messo molto, con l’idea di portare a casa almeno qualcosa.

L’arma replicante di Chigi è/sarà la minaccia d’un anticipo di elezioni. Vuoi la lite? E lite sia. La facciamo; anzi, la facciamo fare ai cittadini il giorno delle elezioni europee, maggio ’24. Votiamo per Strasburgo e votiamo per Roma, due parlamenti in un colpo solo. Così si vede quanto perde/non perde Fratelli d’Italia, quanto non perde/perde la Lega. Di fronte a una simile ipotesi di sfida, a tirare indietro Salvini provvederanno gli antisalviniani del suo partito. Non sono pochi, stanno ben coperti, evitano d’esporsi al fuoco amico. Tanto più a quello del leader. Ma se la legislatura rischiasse d’andare a fondo, non esiteranno a manifestare il picco di dissenso. Meglio: il piccone.

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