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Cultura

DICERIE A CORINTO

LIVIO GHIRINGHELLI - 10/11/2023

corinziLa Seconda lettera di San Paolo ai Corinzi (lettera delle lacrime) è la più spontanea e personale dell’Apostolo. Scritta dalla Macedonia verso l’autunno del 57 d.C., registra cose incresciose accadute a Corinto nell’anno trascorso dalla Prima ai Corinzi.

Una grave offesa mossa alla sua autorità, creando subbuglio nella comunità, l’ha indotto a mandarvi Tito, che è riuscito a calmare gli animi, ristabilendo l’autorità di Paolo, informandolo del miglioramento della situazione: “Dio che consola gli afflitti ci ha consolato con la venuta di Tito. E non solo con la sua venuta, ma con la consolazione che ha ricevuto da voi. Egli ci ha riferito il vostro desiderio, il vostro rammarico, il vostro affetto per noi; onde la mia gioia si è ancora accresciuta. Se vi ho rattristato con questa lettera, anche se per breve tempo soltanto, non me ne rincresce. E se me ne è dispiaciuto, ora ne godo, non per la vostra tristezza, ma perché vi siete rattristati per convertirvi. Vi siete infatti rattristati secondo Dio per non venire puniti da noi. L a tristezza secondo Dio genera ravvedimento che porta a salvezza e di cui non ci si pente, ma la tristezza del mondo genera morte. Vedete in voi quale tristezza secondo Dio, quanta sollecitudine ha destato in voi, di più, quali scuse, quanta indignazione, quale timore, quale desiderio, quale affetto, quale punizione! Vi siete dimostrati sotto ogni aspetto innocenti in quell’offesa (7, 6-11)”.

Paolo sarebbe stato oggetto di un’accusa, di qui il tono colmo di sdegno e di riprovazione, di afflizione e d’angoscia: quella di avere distratto a uso personale una parte dei fondi della colletta da lui stesso organizzata per i poveri di Gerusalemme. L’accusa, accolta dai Corinzi, sarebbe stata mossa da alcuni maestri cristiani venuti da fuori, “pontefici a Corinto, come superapostoli”, in realtà falsi apostoli, maneggiatori fraudolenti servi di Satana, mascherati da ministri di giustizia, destinati a mala fine (11, 13-16), la loro fine sarà secondo le loro opere. In questa Seconda lettera ai Corinzi Paolo, che è solito in linea di massima imporre un rigido controllo alla sua personalità appassionata, oppone alla falsa spiritualità di questi avversari che proclamano anche esperienze mistiche, la sua storia personale costellata di rischi, carcerazioni, torture, pericoli di morte, fughe, travagli, i suoi titoli di apostolato (11, 21-33). “E oltre tutti il mio peso quotidiano, la preoccupazione di tutte le chiese. Lo dico con vergogna, siamo stati deboli noi! Però in quello di cui altri ardisce vantarsi, io dico da stolti, ardisco vantarmi anch’io. Ben altri meriti le visioni e le rivelazioni del Signore” (2 Cor, 12).

Nella prossima terza venuta a Corinto, è la provocazione dell’Apostolo, dato che ogni questione sarà decisa sulla dichiarazione di due o tre testimoni, “spero che riconoscerete, che noi non siamo riprovati”. La ricchezza caratteriale, persino l’eccitabilità e la ruvidezza di Paolo trovano giustificazione anche nella confusione della situazione (i Corinzi hanno forse troppo facilmente abboccato alle dicerie, “da stupidi”, pur essendo saggi, “sopportando chi vi rende schiavi, vi divora, vi deruba, vi tratta con arroganza”).

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