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Io & Lui

LE OMBRE SUL GIRASOLE

LUCIANO DI PIETRO - 09/06/2012

La Lui arranca sulla cyclette con quello stile scomposto tipico delle donne  in bicicletta. Se non sono professioniste, il loro lato B sculetta anche in sella. Senza badare al suo impegno, le faccio:

- Senti, Anquetil, sono stato ai Giardini Estensi. Pensa te, non c’ero andato da almeno dieci anni.

La notizia non la distoglie dall’impegno, che anzi la Lui rinnova girando una manopola per rendere più dura la pedalata.

- Mi sono seduto su una panchina – continuo io – a fare il girasole.

(Ndr: l’espressione necessita di spiegazione. Con voce tosco-laziale, dicesi “girasole” il pensionato, il quale, con immagine stereotipa, seduto sulla panchina ai giardinetti, sposta a mano a mano il proprio corpo e il volto seguendo lo spostamento del sole, in modo da rimanere sempre al caldo e alla luce; proprio come fa il ben noto fiorellone di campagna).

- Ebbene, ero lì che facevo il girasole e tra me e me ricordavo i versi di una canzone, Sanremo ’53:

Vecchia Villa comunale,
sei rimasta tale e quale,
con i viali e coi giardini,
con i giochi dei bambini.
C’era là sempre un signore
che leggeva il suo giornale,
la mia palla lo colpì
di rimbalzo sugli occhiali
che si ruppero così

La lui smette di pedalare, si deterge quel po’ di sudore, e mi guarda speranzosa:

- Ti è arrivata una pallonata in faccia?

- No, tra i piedi.

- E allora?

- Allora raccolgo la palla e mi guardo intorno. Vedo un bambino poco lontano e con un sorriso gli faccio cenno di venirla a prendere. Non ti dico! Si materializza come un fulmine una mammina tutto pepe, che mi prende la palla di mano, mi dice un “grazie” di ghiaccio e si allontana col bambino per mano dicendogli qualcosa che non riesco a sentire ma intuisco.

- Cioè?

- Mah, qualcosa del tipo “non andare vicino a chi non conosci”. Ti dirò: mi sono sentito imbarazzato, umiliato e… colpevole. Di essere un girasole, lì, da solo, e di aver sorriso a un bambino. Non lo si può più fare! Mi sono alzato e, camminando con dignitoso sussiego, stavo per avvicinarmi alla mammina per avvisarla che, secondo le statistiche, il settanta e più per cento delle cosacce che pensa lei e delle violenze avviene in famiglia o ad opera di persone conosciute. Ma poi desisto e mi allontano, ripetendomi gli altri versi della canzone:

Mi ricordo, mi ricordo:
ero bimbo e anch’io giocavo
rosso in viso ritornavo
dalla mamma ch’era là;
la sua mano mi porgeva,
sempre piena d’ansietà
mi baciava e mi diceva
sei la gioia di mammàaaa…

- Non ce la vedo – mi fa la Lui con un sorrisetto.

- Hai ragione, neanch’io. La mia mamma slava non era incline alle dolcezze mediterranee. E ammesso che fosse piena d’ansietà, lo era perché noi bambini andavamo a giocare “a Po”, facendo le battaglie con i sassi sulla riva del fiume! Nel  Polesine della mia infanzia si usava così e le ansietà delle mamme erano per i probabili bozzi in testa, mica per i satiri camuffati da girasoli.

- Anche la mia mamma – ricorda la Lui – stava in ansia nel timore che con la mia biciclettina rossa, insieme con una banda di scalmanati soldi di cacio come me, uscissimo dal vialetto di rose che dava poi sulla piazza della Madonnina in fondo a via Dandolo. Chissà mai, una delle macchine che passava di lì ogni mezz’ ora!

- E i girasoli?- le domando io.

- Giocavano a briscola nel bar di via Garibaldi.

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