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Storia

ALTRI VOLENTEROSI CARNEFICI

FRANCO GIANNANTONI - 07/07/2012

Lo sterminio degli ebrei fu opera solo dei tedeschi come ha sostenuto lo storico statunitense Daniel Goldhagen che parlò di “antisemitismo eliminazionista” della stirpe germanica o al più grande crimine di massa del secolo scorso parteciparono anche altri militari di Paesi diversi? Già Raul Hilberg, fra i maggiori studiosi del fenomeno, autore de “La distruzione degli ebrei d’Europa” (Einaudi, 1995) al tempo della pubblicazione dei “Volonterosi carnefici di Hitler” di Goldhagen, sollevò forti dubbi, in questo seguito da numerosi analisti sulla base di documentazioni inoppugnabili.

Allo sterminio degli ebrei e ai massacri razziali di molta parte della popolazione d’Europa (omosessuali, Testimoni di Geova, popoli rom e sinti, malati mentali) parteciparono in numero rilevante decine di migliaia di “carnefici non tedeschi”. Questo avvenne in particolare dal giugno 1941 al tempo dell’invasione dell’Unione Sovietica da parte dell’esercito di Hitler e dell’avvio delle uccisioni di massa all’aperto compiute dalle “Einsatzgruppen” naziste, cui si deve l’eliminazione con fucilazione di oltre un milione e cinquecentomila civili, prevalentemente ebrei.

Fu in quella fase che centinaia di migliaia di giovani non tedeschi (lettoni, estoni, ucraini, uniti a militari provenienti anche dall’Italia oltre che da Francia, Croazia, Belgio, Olanda, Ungheria) si arruolarono nelle forze armate tedesche e in particolare nelle Waffen SS per collaborare al disegno nazista di “riscrivere” la carta demografica dell’Europa, eliminando dalla faccia della terra tutte le razze inferiori (le cosiddette “schegge di popoli” secondo un assunto di Heinrich Himmler) e bloccare per sempre il dominio degli ariani.

Torna prepotente, per quanto ci riguarda, l’interrogativo posto con drammaticità e con la forza del rigore da Angelo Del Boca, il maggior studioso italiano delle guerre coloniali: “Italiani brava gente?” (Neri Pozza, 2005) dove, per smentire quel detto popolare in voga nel ventennio, lo storico torinese ha messo in fila gli eccidi perpetrati (fucilazioni, incendi di villaggi, impiccagioni, stupri, razzie) dalle truppe di Graziani, Badoglio, De Bono, Pirzio Biroli, Cortese, Messe… in Libia, Eritrea, Etiopia, Grecia, Albania, Balcani.

Riprenderemo l’argomento in altra occasione per sfatare miti costruiti sulla sabbia e perché i lettori sappiano le nefandezze che accompagnarono le imprese dell’Impero senza che alla fine nessuno dei “carnefici” pagasse il prezzo dei misfatti per via dell’accordo Italia-Germania (Taviani-Martino-Adenauer: tutto sepolto con lo sciagurato provvedimento dell’ “archiviazione provvisoria”, soluzione inesistente nel nostro sistema giuridico).

Oggi uno stimolante saggio di Christopher Hale “I carnefici stranieri di Hitler” (Garzanti, pp. 658, euro 35) offre una sintesi storica del fenomeno, proponendo uno scenario partecipativo agghiacciante nei progetti di sterminio degli ebrei di quella parte d’Europa complice delle SS ma anche nell’accanimento contro partigiani, prigionieri di guerra e popolazioni civili.

Nell’ipotesi suggestiva proposta da Hale, emerge lo “scontro” sotterraneo tra il Fuhrer Hitler e Himmler, il capo delle SS e della propaganda: il primo scatenato nella guerra di annientamento e di conquista; il secondo tutto teso a fare sviluppare i movimenti nazionalisti dei Paesi oggetto di conquista immaginando “un’Europa delle SS che avrebbe fatto a meno del Partito nazionalsocialista e del suo leader Adolf Hitler, suddivisa in tante province governata dalle SS”.

Per eliminare gli ebrei, liquidare gli “indesiderabili” (la RSI li definiva gli “sfaccendati”, obiettivo di tante retate, storica, per arresti, quella del maggio 1944 a Busto Arsizio gestita dal federale Sandro Mazzeranghi, scampato al giudizio) e gli oppositori, “germanizzare” ogni parte del continente occupato, occorreva, secondo Himmler, reclutare gruppi etnici non tedeschi e, attraverso il loro contributo, anche con una formazione di tipo militare e di fede nella causa, riprodurre sangue germanico. L’impresa avrebbe potuto essere compiuta solo dalle SS.

Il piano decollò con i popoli nordici della Scandinavia e dell’Olanda per estendersi ad altre etnie anche in ragione dell’avanzamento della “scienza razziale”, i lettoni, gli estoni, i lituani. Un arruolamento nei battaglioni di polizia delle SS e nelle Divisioni militari delle Waffen SS secondo i teorici della razza avrebbe accelerato il processo, portando parte dei popoli non tedeschi al pari dell’ariano germanico.

La canagliesca e sottile teoria himmleriana coinvolse anche gli italiani, in gran parte volontari, circa diecimila. Ricciotti Lazzero, lo studioso del fascismo, raddoppia addirittura il numero in un poderoso volume edito da Mondadori molti anni fa: ventimila.

Il reclutamento (a Varese dal marzo 1944 funzionarono due Centri di raccolta, il primo in via Vittorio Veneto 9 (tel. 2379), il secondo alla portineria dell’attuale Villa Mirabello, allora Villa Litta in piazza della Motta 4), affidato al Generalmajor delle Waffen SS Peter Hansen, quarantasei anni, un duro, nato a Santiago del Cile, direttore del Centro d’addestramento italiano di Musingen, a sud di Stoccarda (dove si sarebbero poi addestrate anche le Divisioni Italia, Littorio, San Marco e Monterosa, quest’ultima utilizzata nei rastrellamenti in Liguria-Appennino dall’estate del 1944) iniziò nell’ottobre 1943 a un mese dall’occupazione della Penisola. Il destino degli italiani fu drammatico al ritmo dell’agghiacciante ritornello dell’inno ufficiale: “Teschio bianco in campo nero/fedeltà sino alla morte/piegheremo anche la sorte/con atavica virtù”.

Non tutti i volontari (idealisti, illusi, fanatici, profittatori, gente in buona e malafede, violenti, prigionieri messi di fronte all’alternativa “o con noi o al muro”) passarono per Musingen e non tutti furono impiegati con compiti di polizia in rastrellamenti, fucilazioni, rappresaglie, arresti di ebrei e partigiani.

Una parte fu inviata sul fronte orientale. Almeno duemila furono utilizzati nella difesa di Budapest a fianco delle “croci frecciate” (i fascisti ungheresi). Per altri l’adesione alle SS, sostiene Hale, fu “una reazione a un’umiliazione nazionale e una scelta conseguente a dei valori ideologici condivisi”. Il 27 aprile prese corpo 1a Brigata d’assalto della Legione SS italiana, agli effetti burocratici 1a Brigata Italiana granatieri SS. Si macchiò di decine di fucilazioni in Val Grande (Ossola) nel giugno del ’44, lasciando dietro di sé una lunga striscia di sangue terminata sulle rive del lago Maggiore con l’eccidio dei quarantadue rastrellati e fucilati di Fondo Toce.

La lotta ai “banditi” fu condotta senza pietà come in Jugoslavia. Le SS italiane avevano imparato ben presto la lezione dei maestri germanici. Il confine dal Novarese alla Valtellina fu terra loro. Gli ebrei finirono a uno a uno nelle loro reti. La Shoah se ebbe quelle dimensioni fu anche per mano di italiani. Mai dimenticarlo.

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