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Ambiente

COLPE DEGLI UOMINI, NON DEGLI ALBERI

DANIELE ZANZI - 07/09/2012

Danni a Villa Taranto

Il 25 agosto, dopo due settimane di caldo eccezionale con punte prossime ai 40°, su Verbania, Stresa e le Isole Borromee si è scatenato l’inferno. Vento ad oltre cento chilometri orari, grandine e pioggia torrenziale hanno sconvolto e modificato il dolce paesaggio della sponda grassa del Lago Maggiore.

Terra ricca e generosa, il Verbano, con un clima mite e un terreno acido e permeabile che ha permesso l’acclimatamento di una flora unica, per provenienza e rigoglio; alberi e fiori del Nepal, del Tibet, del Giappone, delle Americhe e dell’Oceania hanno trovato qui casa e le condizioni ideali per crescere in salute e vigore. Ben se ne accorsero dell’amenità dei luoghi i Borromeo che nel corso dei secoli qui stabilirono le loro sontuose dimore – Isola Bella e Isola Madre – circondate da giardini e orti botanici che tutto il mondo oggi ci invidia.

Di queste terre e di questi paesaggi si innamorò anche il facoltoso Capitano scozzese Neil Boyd Mc Eacharn che nel 1931 acquistò la collina del promontorio della Castagnola a Pallanza e vi costruì quello che è oggi considerato il più importante Giardino Botanico italiano, Villa Taranto, così chiamata in onore di un suo antenato, il Maresciallo McDonald, nominato Duca di Taranto da Napoleone.

Il patrimonio botanico di Villa Taranto è unico – almeno fino alle scorse settimane – : oltre mille sono gli esemplari arborei esotici che qui si sono acclimatati grazie a cure e competenze continue; tutti gli esemplari risultano catalogati, classificati e raggruppati per famiglia botanica e per area di provenienza. Un vero e proprio catalogo vegetale vivente che attira ogni anno da tutte le parti del mondo oltre centocinquantamila visitatori interessati.

La tragedia che si è abbattuta lo scorso agosto sul Verbano ha arrecato danni incalcolabili a questo patrimonio naturale: Villa Taranto praticamente non esiste più come collezione botanica.

Oltre trecento gli esemplari arborei caduti al suolo, la collezione di magnolie asiatiche e americane distrutta, quasi tutti gli alberi hanno subito danni pesanti, molti manufatti sono andati persi.

Qualcuno ha scritto che Villa Taranto non aprirà mai più i propri cancelli; visione certo troppo pessimistica, ma che dà il senso reale del disastro che si è abbattuto sulla Castagnola.

Anche l’Isola Bella ha subito danni ingentissimi; molti gli esemplari arborei rovinati: un canforo, una sughera e un liquidambar secolari spezzati a metà, un raro Pinus patula è andato perso… addirittura sono crollati al suolo, sbriciolandosi, due obelischi in pietra che da secoli sfidavano, sulla sommità del giardino formale, i fortunali e il mergozzo, il freddo vento del nord.

L’Isola Madre è stata fortunatamente risparmiata; ma aveva già dato nel 2006, precisamente il 28 giugno, quando una tromba d’aria in cinque minuti la sconvolse rovinando centinaia di alberi tra cui anche il simbolo stesso della passione botanica dei Borromeo, il famoso e bellissimo Cipresso del Cashmire che si rovesciò al suolo e il cui recupero e salvataggio costituiscono un po’ il fiore all’occhiello della mia carriera professionale di “curatore d’alberi”.

Insomma il lavoro certosino e appassionato del Capitano Mc Eacharn, della famiglia Borromeo nei secoli, di una schiera infinita di giardinieri competenti,il frutto di ricerche nei più disparati vivai del mondo, sono andati forse persi per sempre.

Pensavamo che le immagini di un tale disastro potessero esistere solo confinate nei TG, osservati troppe volte con occhi distratti – “tanto da noi queste cose non succedono” – ; d’improvviso le abbiamo trovate materializzate e reali anche qui, a due passi da noi.

Tutti a chiedersi un perché e a ricercare una causa: cambiamenti climatici, emissioni gassose,buco dell’ozono, tropicalizzazione dei nostri climi. Qualcuno paventa un paesaggio fatto di cactus e di agavi anzichè di faggi,castagni e robinie! Qualcun altro scrive di foreste tropicali e subtropicali che prenderanno piede sulle pendici a margine dei nostri laghi prealpini. Esagerazioni, scoop giornalistici che catturano l’attenzione e che lasciano il tempo che trovano. In realtà, e basta leggere le cronache dei secoli scorsi, trombe d’aria, fortunali e disastri naturali sono sempre accaduti; forse venivano accettati con più fatalismo e rassegnazione; forse si era maggiormente abituati a prendere quello che di buono e di cattivo la Natura ci poteva propinare. Un tempo agli alberi si dava solo una valenza economica – fornivano legna, energia, materia prima per costruire –e non si attribuiva certo una funzione ambientale, ecologica e paesaggistica come oggi avviene. Per molti poveracci un albero che si spezzava era una fortuna perché lo si poteva riutilizzare subito e si risparmiava la fatica e il tempo per abbatterlo.

Poi pian piano il nostro paesaggio è stato cambiato dall’uomo: ai boschi e alle vigne si sono sostituiti i giardini a contorno delle ville. Bellissimi, ma certo artificiali e come tali fragili e sensibilissimi ad ogni variazione improvvisa esterna. In poche parole abbiamo costruito un paesaggio scenografico sublime, ma estremamente precario nel tempo. Di questo dovremmo essere consapevoli quando un evento esterno, seppur violento, come può accadere, va a sconvolgere i disegni estetici che l’uomo ha costruito forzando la Natura. Non vorrei che in questo disastro passasse anche il messaggio subliminale che gli alberi sono pericolosi e che ciò che è avvenuto è dovuto all’assenza di manutenzioni specifiche e cioè a potature energiche e drastiche per “abbassare” gli alberi troppo “alti”. Per alcuni – meglio per molti – potare drasticamente un albero è operazione normale e giusta; anzi doverosa: guai se non la si esegue, perché i risultati sono poi crolli, guai e sciagure. Anziché sottolineare l’eccezionalità di un evento atmosferico, sono gli alberi ad essere colpevolizzati perché crescono troppo e nessuno si preoccupa di “castrare” preventivamente. Ecco non vorrei che sul Lago Maggiore si scatenasse una gara al taglio preventivo e alla mutilazione degli alberi; non vorrei che fosse questa la conclusione della tragedia che ha colpito i nostri giardini storici. Sono però fiducioso delle competenze e della perseveranza dei molti bravi giardinieri del Lago, giardinieri da generazioni, che sono già all’opera per riparare e mettere tutto in ordine.

Il loro lavoro duro e silenzioso, la loro tenacia nel voler far rivivere le loro creature, la loro genetica caparbietà di non abbattersi di fronte alle avversità naturali ma di imparare a conviverci sono le migliori garanzie che i nostri giardini del Lago torneranno a splendere come non mai.

Perché tutti noi non li aiutiamo, ci facciamo sentire loro vicini e presenti andando magari semplicemente a trovarli e pagando il biglietto d’ingresso a questi luoghi incantati?

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