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Opinioni

SVENDERE SENZA SAPER COMPRARE

VINCENZO CIARAFFA - 21/09/2012

Villette al posto della ex caserma?

“Qualsiasi imbecille può inventare e imporre tasse, l’abilità consiste nel ridurre le spese, dando nondimeno servizi efficienti, corrispondenti all’importo delle tasse”. Se è vera – e riteniamo che lo sia – quest’affermazione dell’economista Maffeo Pantaleoni, l’Italia, dove le tasse hanno avuto storicamente un decorso inversamente proporzionale alla qualità e alla quantità dei servizi forniti ai cittadini, possiamo legittimamente sostenere che negli ultimi cinquant’anni il Paese è stato in mano a degli imbecilli. Infatti, i governi che si sono alternati durante la cosiddetta prima Repubblica, mentre lo facevano dilatare mostruosamente con spese assurde e mancati introiti, puntualmente dichiaravano di voler abbattere il debito pubblico mediante la razionalizzazione della spesa (il rassicurante termine “spending review” sarà introdotto dai bocconiani…) e con l’alienazione degli immobili militari dismessi. Come si può arguire, i governi della cosiddetta seconda Repubblica, compreso questo in carica, hanno fatto, né più né meno, ciò che facevano quelli della prima: per recuperare soldi da buttare nella fornace della loro vacuità, hanno tagliato puntualmente il budget del dicastero Difesa che, sottovoce, definiscono spesa parassitaria. Almeno, poi, fossero riusciti a vendere gli immobili dismessi!

La verità è che la Pubblica Amministrazione non sa comprare, come si evince andando a guardare i suoi approvvigionamenti dal libero mercato, il cui costo è sempre (misteriosamente) più alto dei prezzi correnti. Figuriamoci vendere! La verità è che le infrastrutture militari dismesse non sono appetibili per il mercato immobiliare e ciò per svariate ragioni, ne citiamo soltanto due. La prima ragione. Se, ad esempio, lo Stato volesse vendere la caserma ipsilon, s’innescherebbe una spirale burocratica tale da far desistere anche il compratore più sgamato, perché bisognerebbe mettere insieme il responso del Demanio Statale, del Demanio Militare, del Genio Militare, delle Regioni, delle Province e dei Comuni interessati, in un Paese dove i procedimenti burocratici hanno tempi biblici. La seconda ragione. La maggior parte delle infrastrutture militari dismesse si trova, ormai, incastonata negli agglomerati urbani di Comuni come Roma, Milano, Napoli, eccetera, i quali (neppure volendo, grazie a Dio) potrebbero consentire allegri cambi di destinazione degli immobili in questione e favorire, così, le mire speculative dei grandi palazzinari. Le cose, purtroppo, non vanno meglio in periferia. In tempi di “spending review” e di un montante astio popolare contro i politici e la Pubblica Amministrazione, il clima intorno al futuro utilizzo dell’ex caserma Garibaldi di Varese era fatalmente destinato a farsi incandescente.

Acquistata dal Comune due anni fa, per la non modica cifra di due milioni e cinquecentomila euro, il fatiscente edificio potrebbe lasciare il posto a palazzine e villette. Se per davvero il PGT prevedesse un utilizzo del genere dell’area in questione, sarebbe difficile sottrarsi alla tentazione di affermare che quella paccata di euro è stata spesa piuttosto male: palazzine e villette in una città, dove si contano a centinaia le case invendute, o sfitte, o disabitate? Sarebbe saggio prevedere altre colate di cemento in una città che è già al quarto posto della poco invidiabile graduatoria delle più cementificate d’Italia? Non parliamo, poi, dell’impatto che il traffico veicolare prodotto dal nuovo insediamento urbano avrebbe sulla zona, che è anche uno dei punti di accesso alla città. Il guaio è che, essendo di memoria corta, i nostri politici finiscono per essere puntualmente seppelliti dai loro stessi slogan. Sì, perché con la scarsa capacità che essi hanno d’immaginare il futuro, non hanno considerato che nuove case a centro città, e correlati problemi logistici, farebbero sì che Varese, da “Città giardino” che ancora è, rischierebbe di trasformarsi in “Città casino”, intendendo con questo termine caos. Ma Varese è una città che sa ragionare con la propria testa tant’è che dalla comunità cittadina sono giunte varie proposte alternative ai progetti del Comune sull’ex caserma, alcune intelligenti, altre abbastanza interessate. V’è, infatti, chi propone di farne un teatro ma, prima ancora che sia collocata almeno la prima pietra ideativa, già suggerisce i nomi di coloro che lo dovrebbe gestire, e chi – come l’editore e poeta Dino Azzalin – propone, invece, di farne un sorta di orto botanico che, forse, recherebbe il fiore più bello alla “Città giardino”. Apriti cielo! Manco avesse proposto di costruire un lager al posto dell’ex caserma, Azzalin si è trovato destinatario di una sostenuta risposta dell’Assessore Fabio Binelli il quale ha cercato di smontare le critiche e le proposte del poeta, adducendo che è la forte immigrazione a rendere necessaria la costruzione di altre case. Quest’affermazione, in verità, non trova riscontro nella realtà perché abbiamo verificato che la pressione migratoria su Varese è stata più che fisiologica, nonostante la “liberalità” del trattato di Schengen e il Mediterraneo aperto a tutti, perché la popolazione residente (dati Internet) è stata pressoché stabile negli ultimi anni: 80107abitanti nel 2004; 83611 nel 2005; 82805 nel 2006; 82216 nel 2007; 82837 nel 2008; 81990 nel 2009; 81579 abitanti nel 2010. Insomma in sette anni la popolazione di Varese è cresciuta appena di 1689 unità, pochini per parlare di forte immigrazione. Nella risposta di Binelli, però, a colpire non è stata tanto la sua interpretazione dell’immanenza migratoria, quanto la strana considerazione che egli ha degli amministrati, laddove ritiene che questi non possano dire “quello che intendono fare della caserma e gli amministratori locali devono eseguire”. Ma questa una volta non si chiamava volontà popolare delegata? Né, sarebbe pensabile, d’altronde, che un pubblico amministratore (i romantici dicono ancora “servitore del popolo”) possa farne a meno. Perlomeno non in democrazia.

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