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Attualità

UNIONI CIVILI E DIGNITÀ DELLA PERSONA

LUISA OPRANDI - 28/09/2012

Nell’ultima seduta del Consiglio comunale di Varese l’istituzione del Registro delle unioni civili non è stata approvata. La nostra città non è quindi tra i circa novanta Comuni che in Italia applicano questo strumento amministrativo, tramite il quale un Comune sceglie di equiparare sul piano dei provvedimenti di competenza comunale le coppie che liberamente vi si iscrivono a quelle sposate. È pertanto indubbio che il Registro manterrebbe chiaramente la distinzione tra famiglia tradizionale e unione civile, ma consentirebbe altresì di riconoscere pubblicamente la dignità delle scelte affettive e relazionali diverse dal matrimonio, sia esso religioso o civile. La nostra Costituzione, all’articolo 20, definisce la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”. All’articolo 2, invece, dispone che la Repubblica “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Il Parlamento europeo, nella Raccomandazione del 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani nell’Unione Europea, ha espressamente chiesto agli Stati membri di “garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali”. Posizioni che ha riconfermato nella Risoluzione del 4 settembre 2003 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea.

Sebbene le coppie di fatto (eterosessuali, ma anche omosessuali) abbiano diritti e doveri, l’Italia al momento non possiede però una legge sulle unioni civili Ai primi disegni e proposte di legge presentati a Camera e Senato a partire dalla fine degli anni Ottanta e agli inviti dell’Europa per una parificazione dei diritti di coppie eterosessuali ed omosessuali hanno dato risposta diversi comuni istituendo la registrazione anagrafica della convivenza.

Le amministrazioni locali, le più vicine ai cittadini, hanno infatti recepito i cambiamenti sociali in atto e riconosciuto il diritto alla libertà delle persone di vivere, con dignità riconosciuta, le proprie relazioni affettive nella modalità che ritengono più consona alla specifica storia della coppia.

Per concretezza, ci riferiamo al più recente registro delle unioni civili approvato, quello di Milano, i cui obiettivi si riassumono nel superare situazioni di discriminazione e favorire le forme di integrazione nel contesto sociale, culturale ed economico del territorio, attraverso atti amministrativi che devono prevedere per le unioni civili condizioni non discriminatorie, evitando condizioni di svantaggio economico e sociale, con particolare attenzione alle situazioni di disagio. All’interno del Comune di Milano, inoltre, chi si iscrive al registro è equiparato al “parente prossimo del soggetto con cui si è iscritto” ai fini della possibilità di assistenza. Ciò significa che chi ha un proprio caro in ospedale non potrà essere, ad esempio, allontanato dal medico come poteva accadere prima, spesso su richiesta di famigliari meno cari alla persona che sta male ma ritenuti legalmente più titolati per assisterlo.

Anche alcune Regioni italiane hanno approvato da quasi un decennio statuti a favore delle unioni civili ( Calabria, Toscana, Umbria, Emilia Romagna). Sono questi degli atti che, da un lato, acquisiscono chiaro significato simbolico e culturale e, dall’altro, rappresentano scelte giuridico amministrative capaci di esprimere concretamente l’attuazione di pari opportunità.

Una parità che tiene conto delle diverse sensibilità e dei precetti laici della Corte Costituzionale, che con la sentenza 138 del 2010 ha sollecitato una legge nazionale a riguardo.

Ma è anche una richiesta di parità tra i cittadini e categorie di lavoratori. Infatti lo stimolo forte dato dai Comuni e da alcune Regioni vuole porsi come segno concreto di una politica che parte dal basso affinché sia una legge nazionale a creare e definire condizioni di parità. Un esempio per tutti: i partner di giornalisti, anche se non sposati, possono usufruire del trattamento sanitario e quindi della Cassa mutua del convivente. Gli onorevoli godono dello stesso diritto e in più possono lasciare al proprio partner la pensione di reversibilità,anche se tra di loro non sussiste alcun legame matrimoniale.

Così giusto per dire…

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