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Spettacoli

ADRIANO FOREVER

MANIGLIO BOTTI - 19/10/2012

Adriano icona della canzonetta e della storia italiana di mezzo secolo; Celentano grande protagonista della scena, musicale e no; Adriano Celentano maitre à penser, filosofo, politico e pure economista. Il successo debordante raggiunto l’altra settimana con lo spettacolo Rockeconomy, che riprendeva il discorso avviato sette anni fa con Rockpolitik, e che è stato trasmesso in diretta – in due serate – dalla rete ammiraglia di Mediaset, ne ha rappresentato ancora una volta la prova provata. Forse l’Arena di Verona, più consona ad accogliere le grandi opere verdiane o pucciniane (in primis l’Aida e Tosca) che concerti di un cantante ormai agé, non era il terreno adatto. Ma tutto è passato in secondo piano e l’Adriano l’ha fatta sempre da padrone. L’Arena era piena all’inverosimile di pubblico il più disparato, giovani e anziani, mamme ragazze e nonne, replicanti celentaneidi e curiosi sugli spalti e in platea molta crema e storia dello spettacolo: da Pippo Baudo a Paolo Bonolis, da Al Bano a Eros Ramazzotti; il risultato televisivo è stato un’adrenalina, un’iniezione di forte audience (nove milioni di spettatori) in un momento non felicissimo per ogni canale. Merita perciò di parlarne ancora.

Appena l’Adriano s’è appeso al microfono, come si dice, l’Arena è venuta giù dagli applausi. Va detto che stavolta la “parte cantata” è stata più ampia e più richiesta della “parte parlata”. Il Nostro ha spaziato nel suo immenso repertorio (centinaia e centinaia di canzoni nell’arco di cinquantacinque anni), anche se il teatro è letteralmente esploso quando ha imbracciato la chitarra e intonato “Il ragazzo della via Gluck”, cantata insieme con l’intero stadio, o “Storia d’amore” o “Azzurro” o “Pregherò”, la sua cover anni Sessanta di “Stand by me”, canzoni di un’epoca e anche, ormai, inni nazionali sostitutivi, alla pari del “Va pensiero” del Nabucco, indicato dal partito padano al posto dell’ “Inno di Mameli”.

Il personaggio s’è presentato curato, secondo il suo stile, anche nell’abbigliamento: la berretta di lana grigia unisex, le braghe larghe di vellutino scuro, la giacchetta-felpa, cui poi ha aggiunto un soprabito a coda di rondine e mantella, gli stivaletti – ne deve possedere uno stock – di cuoio chiaro e leggero, cernierati sul lato interno.

Sceltissimi i collaboratori, le coreografie, i  ballerini, tra cui una ragazza di colore bella e sinuosa. Non ce l’ha fatta sempre, l’Adriano, a mantenere alto il tono e il ritmo della performance. Talvolta (spesso) la voce s’è incrinata, ha dimenticato intere frasi di parole di canzoni sue famosissime (Storia d’amore), ha rischiato la sincope quando ha accennato alcuni movimenti rock di gambe e di bacino. Tutto gli è stato perdonato. Anche perché egli stesso – per la prima volta senza spavalderia – dopo alcuni passi rock ha detto: “Adesso mi devo prendere quindici giorni di vacanza”.

E già, perché il 6 gennaio prossimo Adriano Celentano compirà trionfalmente settantacinque anni.

Il pubblico, clemente, gli ha perdonato anche l’intermezzo parlato, la scenetta combinata del tipo “al tavolo dell’osteria” insieme con l’economista francese Jean-Paul Fitoussi, con i giornalisti del Corriere della Sera Gianantonio Stella e Sergio Rizzo (gli autori del libro “La casta”, che è ormai una pietra miliare del giornalismo politico e di denuncia), e infine con Gianni Morandi. “Canta! Canta!”, gridavano dagli spalti, e allora l’Adriano ha ricominciato a cantare…

La presenza dell’amico Gianni Morandi è parsa ad alcuni quasi la restituzione della chiamata che quest’ultimo gli aveva fatto in occasione del Festival di Sanremo del febbraio scorso, quando Adriano in cambio di un sostanzioso contributo dato poi in beneficenza (pare proprio di sì) sparò altre tre o quattro delle sue megacavolate. Non è un caso che, una decina di anni fa, avesse intitolato una delle sue periodiche apparizioni in Tv “125 milioni di cazzate”.

V’è da dire che Adriano e Gianni, negli anni Sessanta, non erano poi quel che si dice grandissimi amici. Due bravi, bravissimi cantanti che andavano ognuno per la propria strada. E se Adriano si giocava la faccia a Sanremo (1961, 1966, 1970), Gianni ne stava alla larga, forte del suo straordinario successo discografico tra boys e ragazzine. Se la filano adesso quando entrambi navigano nella senescenza.

Dell’Adriano filosofo o dell’Adriano cantante s’è già accennato. Meglio il secondo, cui però bisogna ogni tanto concedere di parlare. Un detto lombardo recita: “ ’Mazàll o tegnìll”. Beh, teniamocelo così.

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