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Attualità

ESERCITO E MISSIONI ALL’ESTERO

VINCENZO CIARAFFA - 07/12/2012

Nella sala conferenze della Provincia di Varese, il comandante regionale dell’Esercito nella Lombardia ha presentato il calendario dell’Esercito 2013 in ambito provinciale. All’incontro sono intervenuti vari personaggi di rilievo istituzionale. Il calendario aveva quale filo conduttore “Il cuore delle missioni” a ricordare i trent’anni dell’inizio delle missioni militari italiane all’estero per la gestione delle crisi internazionali e la tutela dell’ordine planetario o, come sostengono i malevoli delle multinazionali.

Sulle nostre missioni italiane di pace all’estero chi scrive si è sempre dichiarato sfavorevole e non perché fosse contrario a esse tout court ma soltanto perché le nostre Forze Armate non se lo possono permettere, perché il nostro bilancio non lo consente, perché esse non sono supportate da un’adeguata politica estera, in uno scenario mondiale radicalmente cambiato e in vertiginosa evoluzione rispetto ad appena un decennio fa. Un esempio di tal evoluzione è che, mentre l’Occidente annaspa in una crisi economica e finanziaria senza precedenti perché ha ormai saturato i propri mercati interni, l’India, il Sudest Asiatico e la Cina procedono con un PIL stupefacente e che, nel caso della Cina, è costantemente a due cifre da alcuni anni. Ciò consentirà a questi Paesi (dove non esistono i movimenti pacifisti…) di liberare enormi risorse per gli armamenti nei prossimi anni ed è sicuro che, nel giro di un decennio, la Cina diventerà la maggiore potenza economica e militare planetaria.

A questo si contrappone un dato tanto preoccupante quanto sottovalutato: il 13% del Pil americano è costituito dalle commesse militari. Insomma, due parti del mondo con interessi politici, economici e militari contrastanti stanno stivando polvere da sparo che esploderà alla prima scintilla. Nonostante ciò, la nostra minimalista politica estera non tiene in nessun conto questi mutati e mutevoli scenari giacché continua a operare come se fossimo ancora negli anni ’70, quando in punta di piedi ci muovevamo sul teatro della politica internazionale a traino degli USA e sotto il loro rassicurante ombrello protettivo militare.

Una follia di questi tempi! Folle perché, stante i citati presupposti dovremmo attrezzarci a fare da noi: gli americani non hanno più interesse strategico per l’Europa che, anzi, vedono come un competitore economico, né essi a difesa dei loro alleati possono più permettersi di tenere in giro per il mondo, seicento bombardieri atomici, settecentocinquanta missili intercontinentali Minuteman, cinquantaquattro missili Titan e seicentocinquanta missili Polaris come facevano un tempo.

Tra uno scandalo e l’altro, tra una ruberia e l’altra, forse la nostra classe politica avrebbe dovuto trovare anche il tempo per capire che con la caduta del muro di Berlino, l’implosione dell’URSS e lo scioglimento del Patto di Varsavia, l’Italia avrebbe perso il ruolo di perno della difesa del Sud Europa diventando così insignificante per gli interessi strategici americani che, ormai, si difendono in Asia Occidentale, in Medio Oriente e nel Golfo Persico.

Purtroppo il nostro Paese si è cullato nell’illusione di avere sostituito l’ombrello protettivo americano con quello dell’Unione Europea che, però, non è mai diventata una costruzione politica e militare monolitica, come dire con una sola politica estera e una sola politica di difesa, senza contare i paradossi economici da cui è portatrice.

La riprova di ciò l’abbiamo avuta all’ONU proprio nei giorni scorsi, in occasione del voto per l’ammissione della Palestina quale “Stato osservatore delle Nazioni Unite”: tra i sì, i no e gli astenuti, l’UE si è comportata né più, né meno come si comportava l’Europa negli anni ’30, al tempo della Società delle Nazioni, all’insegna di “Ognuno per sé”!

Il presidente Monti, poi, per spiegare il voto italiano favorevole ai palestinesi, ha chiarito che “Non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia con Israele”. Fantastico. È stato come dire “Ti amo” a una moglie che abbiamo appena malmenato. Temiamo che il voto dell’ONU, lungi dal facilitarlo, aggraverà il già cruento rapporto tra palestinesi e israeliani con conseguenze sullo scacchiere mondiale difficilmente prevedibili, considerato che ad armare i palestinesi e la Siria, c’è l’Iran di quella mammoletta di Ahmadinejad secondo il quale lo Stato d’Israele andrebbe cancellato dalla faccia della terra. E, purtroppo, il voto dell’ONU ha legittimato la violenza in quei territori, premiando in un certo senso l’iniziativa dei palestinesi che per richiamare l’attenzione del mondo sulla loro causa, in pochi giorni, hanno lanciato circa ventimila razzi su Israele che, a sua volta, ha reagito con la solita durezza.

Che cosa succederà quando la Palestina vorrà creare un’aura internazionale favorevole per ottenere lo status di membro permanente dell’ONU? Sul “dopo”, e alquanto perplessi, ci interrogammo proprio dalle pagine di Rmf sugli sviluppi della cosiddetta “Primavera Araba” mentre tutto il mondo vi plaudiva acriticamente e, anche in quel caso, auspicammo che il nostro Paese ne rimanesse fuori, cosa che purtroppo non fece dilapidando, così, altre risorse.

Passati gli entusiasmi, abbiamo dovuto prendere inevitabilmente atto che quella primavera non è riuscita a diventare estate e il vecchio autoritarismo è stato sostituito da un altro ancora peggiore perché tendente all’instaurazione della teocrazia, come in Egitto, dove la Sharia sta per essere introdotta nelle Costituzione. E tutto questo sta avvenendo a poche miglia dalle nostre coste. Sicché, proprio mentre la difesa del nostro Paese è al collasso, sinistri spettri di destabilizzazione s’intravedono sulla sponda opposta del Mediterraneo. Ecco perché, nonostante i tempi difficili che stiamo attraversando, auspichiamo una politica del “piede in casa” e il mantenimento di un budget costante per la difesa.

Sì, perché se alle ambasce economiche dovesse sommarsi anche l’incapacità dei governi di difendere il Paese, potrebbe andrebbe in scena un altro 8 Settembre con conseguenze, stavolta, ben più gravi di quelle del 1943 perché, in questo caso, collasserebbero definitivamente l’identità nazionale degli italiani e, probabilmente, la nostra stessa unità. In altri termini, e per dirlo con le parole del cancelliere austriaco Clemente Metternich, l’Italia ridiventerebbe una “semplice espressione geografica”. Sono di questi giorni le critiche pacifiste all’acquisto da parte del nostro Paese di un centinaio di aerei da combattimento F-35 di cui un’aliquota a decollo tradizionale per l’Aviazione, l’altra a decollo orizzontale per la Marina. Eppure questa decisione è stata una delle poche cose sensate fatte dello Stato Maggiore della Difesa e del governo che l’ha avallata. Infatti, l’Italia per la sua posizione geografica è una portaerei naturale protesa nel Mediterraneo e, pertanto, il monitoraggio e controllo dall’alto del fuoco che arde sotto la cenere nel saliente nordafricano è sicuramente meno costoso di quello fatto con navi e uomini lungo ben ottomila chilometri complessivi di costa.

Per carità, non dobbiamo attrezzarci per fare guerra a nessuno (siamo pacifisti anche noi) ma è proprio per contribuire a mantenere la pace mondiale che dobbiamo spendere i quattro euro a disposizione della Difesa per attrezzare in modo passabilmente credibile la protezione del territorio nazionale. Il perché lasciamo che a dirlo sia una persona sopra di ogni sospetto, il comunista Raffaello Colombi, nella seduta della Costituente del 21 maggio 1947: «Ma per difendere la nostra neutralità e la nostra pace, è necessario che abbiamo un’armata capace di farlo, un’armata cui affidare il compito di difendere le nostre frontiere e che soprattutto sia in grado di dimostrare a qualsiasi eventuale nemico che, se intende minacciare le nostre frontiere, o tenti di occupare il nostro suolo, non potrà farlo impunemente. Bisogna cioè che l’eventuale nemico sappia che troverà una forza armata capace di affrontarlo, che in ogni città, in ogni borgata, in ogni casolare troverà un centro di resistenza e che in ogni caso troverà chi gli rende la vita difficile nel nostro territorio». Oggi, più semplicemente, la chiameremmo deterrenza.

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