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Opinioni

IL POPULISMO PREVISTO DA MC LUHAN

ROMOLO VITELLI - 20/11/2011

 

Con le dimissioni del Cavaliere e con Monti nuovo Premier, si sta chiudendo la lunga parabola berlusconiana, iniziata nel ’94 con la sua “discesa in campo,” nella quale magnificava in televisione l’Italia come “il Paese che io amo” e finita, come ci ricorda Battista sul Corriere, 17 anni dopo, con la famosa espressione intercettata: “l’Italia Paese di m…” A me, pensando alle macerie che Berlusconi sta lasciando in questo nostro disastrato Paese, è tornata alla memoria, nel centenario della nascita, la riflessione sui mass media che Marshal McLuhan aveva fatto sin dagli anni Sessanta. L’autore nella sua l’opera “Understanding Media,” (“La comprensione dei media” tradotta erroneamente in Italia con il titolo “Gli strumenti del comunicare”, che come si può vedere tradisce l’intento dell’opera), ma anche nelle varie interviste, in particolare quella concessa a Playboy, alla fine degli anni ’60 e pubblicata nell’opera “Dall’Occhio all’Orecchio,” 1982, si proponeva lo scopo pratico d’indurre i lettori a comprendere le modificazioni che gli strumenti del comunicare inducevano nei soggetti e negli ambienti.

Lo studioso canadese in quell’intervista ammoniva dirigenti politici ed ignari cittadini democratici a prendere atto del fatto che: “La televisione sta rivoluzionando tutti i sistemi politici occidentali. Da una parte, ha creato un nuovo tipo di leader politico […] che domina il suo Paese mediante il dialogo con le masse, la cui partecipazione è assicurata dalla TV e dal feedback che essa da. Castro governa il suo paese attraverso la telecamera, offrendo al popolo cubano l’esperienza di essere direttamente ed intimamente coinvolto nel processo collettivo decisionale. Castro, mescolando abilmente l’educazione politica, la propaganda e la guida paternalistica ha creato il modello per altri capi tribù di altri Paesi. Il nuovo protagonista politico deve, alla lettera anche figurativamente, indossare il suo pubblico come indosserebbe un vestito, come Mussolini, Hitler e Roosevelt nei giorni della radio e John F. Kennedy nell’era della televisione. Tutti questi uomini erano imperatori tribali di dimensioni sconosciute fino allora nel mondo, perché tutti conoscevano a fondo e dominavano i loro media”.

Ho voluto riportare, quasi per intero il pensiero di M. McLuhan perché (sebbene – come dice A. Gide – “ tutte le cose sono state già dette; ma siccome nessuno ascolta bisogna sempre ricominciare da capo”), a me sembra che in questa risposta ci sia la chiave per comprendere il ruolo che le comunicazioni di massa e in particolare la televisione, hanno avuto nell’ ascesa e nella conservazione del potere, non solo dei leader sopra menzionati all’estero, ma soprattutto di Berlusconi nel nostro Paese. Anche se nessuno evidentemente – come ripete G. Valentini – “è così ‘naif’ da insinuare che il Cavaliere abbia vinto le elezioni soltanto perché possiede tre reti televisive: tanto è vero che, pur avendo le tv, le elezioni in passato le ha perse due volte (nel ´96 e nel 2001). Manca piuttosto la controprova: che cosa avrebbe fatto senza le televisioni? Avrebbe vinto ugualmente le elezioni per tre volte in quindici anni? Il ‘fenomeno Berlusconi’ si sarebbe affermato e consolidato allo stesso modo?”.

 Fatta questa premessa d’obbligo sorgono spontanee alcune altre domande: “Perché Berlusconi e solo lui è riuscito a prendere il potere in Italia, dopo la fine della Prima Repubblica?”

“Se tutto era già scritto e chiaramente esplicitato, come si può vedere dallo scritto di M. McLuhan, già negli anni Sessanta, circa il ruolo e la potenza della televisione nel controllo delle masse, come mai si è consentito a Berlusconi, ad un uomo in possesso di potenti mezzi economici e di comunicazione di massa di scendere in politica e di impadronirsi del potere?” Ed infine: “perché il conflitto d’interessi, riesploso così evidente nei giorni di laboriosa trattativa per nascita del Governo Monti, non è stato regolato e continua a pesare sulla società e sull’economia del nostro Paese?” Questi interrogativi come si può vedere non sono né oziosi e né retorici e dal tipo di risposta politica che si darà loro si può forse riuscire a comprendere l’epoca berlusconiana.

Le ragioni sono molte, complesse e di varia natura, però vorrei limitarmi qui ad un discorso tutto interno ai mass media. Certamente è vero che le classi dirigenti della prima Repubblica di sinistra e di destra erano figlie di una civiltà grafica, e perciò poco a loro agio con le nuove tecnologie multimediali, tanto da non aver strumenti di analisi in grado comprendere il fenomeno nuovo rappresentato dal potere massificante della televisione, che si stava ormai da un ventennio affermando nelle società avanzate. C’è da dire però a parziale loro giustificazione – come ci ricorda M. McLuhan – che “negli ultimi tremilacinquecento anni della storia del mondo occidentale, gli effetti dei media, sia che si tratti del linguaggio, della scrittura, della stampa, della fotografia, della radio o della televisione, sono stati sistematicamente trascurati da coloro che osservano i fenomeni sociali”. Ma chi dirige un partito però non può permettersi questo lusso e deve tentare di adeguare gli strumenti comunicativi alla nuova fase della lotta politica, pena la sconfitta del suo movimento.

E’ noto che la TV suggestiona, imbonisce, seduce ed orienta nelle scelte di consumo e di quelle politiche, soprattutto i fruitori poco avvertiti e disattenti. Chi non ricorda la calza sull’obiettivo della telecamera, (riutilizzata anche recentemente in occasione del messaggio con cui Berlusconi ha dato le dimissioni), avrebbe reso più soffice e seducente il suo messaggio vi­deo? O la spilla che Berlusconi si era appuntata sul bavero del suo doppio­petto per attirare l’attenzione dei telespettatori su di sé anziché sul rivale Occhetto? Il potere della tv Berlusconi l’aveva compreso a pieno sin dal suo manifestarsi ed è per questo che è riuscito a vincere prima culturalmente e poi politicamente la sua lotta . E’ bene saperlo il berlusconismo non comincia nel 1994, bensì a metà degli anni Ottanta, quando l´avvento della tv commerciale intercetta un bisogno di cambiamento e di modernizzazione: un´aspettativa, una tendenza diffusa nella società italiana.

E la rivoluzione televisiva la trasforma in senso comune, mentalità collettiva, cultura di massa. Infatti le sue televisioni hanno modificato gusti, abitudini, modi di essere e di vedere degli Italiani.S´è innescato – come dice G. Valentini nel suo libro la “Sindrome di Arcore” – così un meccanismo d´identificazione, un processo mimetico, fra il modello della tv commerciale e il grande pubblico televisivo che viene quotidianamente ipnotizzato, narcotizzato dalla tv, fino a restare prigioniero della “sindrome di Arcore” che vuole essere la traduzione politica e antropologica della “Sindrome di Stoccolma,” di quella distorsione della psiche, cioè, che spesso colpisce le vittime dei sequestri – specialmente se donne – precisa l’ autore – ispirando loro sentimenti positivi, talvolta persino l’ innamoramento, nei confronti del carceriere. I sintomi morbosi della “Sindrome di Arcore”, si manifestano in un “impasto di ammirazione e invidia, di subalternità e sudditanza, di rispetto e timore, che contagia trasversalmente amici e nemici, sostenitori e avversari, senza differenza di sesso, di età e di censo”.

Come se ne esce? Bisogna evitare la trappola di chi dice che essendo caduto Berlusconi, è finita un’epoca e quindi “bisogna guardare avanti e lasciarsi il passato in dietro”. Bisogna guardare avanti certo, ma con la consapevolezza che il berlusconismo ha permeato di sé il popolo italiano, gettando il Paese in un disastro etico ammorbante che deve essere purificato. Bisognerà interrogarsi prima sul perché si è permesso ad un uomo come Berlusconi di impadronirsi del potere al fine di evitare che il post-berlusconismo risulti anche peggiore del berlusconismo. Bisognerà liberarci dal berlusconismo che è penetrato in ciascuno di noi, inoculando nel corpo sociale del Paese quelli che Paolo Sylos Labini chiamava gli “anticorpi”. Solo se riusciremo – come raccomanda M. McLuhan- “ a comprendere le trasformazioni rivoluzionarie causate dai nuovi media, potremo prevederle e controllarle, ma se persisteremo nel nostro stato di catalessi subliminale, diventere­mo i loro schiavi.” L’Italia perciò ha bisogno non soltanto di un doveroso cambio di governo, ma anche di un’ alternativa morale, culturale e sociale. Ma per far questo le forze democratiche responsabili del nostro Paese e soprattutto quella di centro-sinistra dovranno smetterla di vedere la realtà – per dirla con M.McLuhan – “tramite lo spec­chietto retrovisore,” fornendosi di adeguati strumenti di analisi all’altezza di un mondo, divenuto “villaggio globale” ed elaborando nuovi progetti per il futuro in grado di comprendere e tentare di intervenire in un mondo globalizzato percorso da divergenti forme di comunicazioni multimediali.

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