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Società

TRENT’ANNI DI AIUTO ALLA VITA

ANNALISA MOTTA - 01/02/2013

Sapete quanti fiocchi rosa e azzurri sono appuntati nel palmares di questo piccolo agguerrito Centro di Aiuto alla Vita? E quante mamme affrante si sono rivolte alle sue volontarie? E quante tonnellate di pannolini e di latte in polvere sono stati regalati, e quante migliaia di chilometri sono stati percorsi dagli amici del centro? Una contabilità di trent’anni di impegno che non ha nemmeno dati certi fino al 1995, tanto sembrava “normale” e familiare al coraggioso manipolo del CAV dei primi tempi dare un aiuto alle mamme in difficile attesa. Ripensando ai trecentootto bambini nati – ripetiamo, senza contare i primi dodici anni di attività – e alle quasi ottocento famiglie seguite, alle luci e alle ombre di questa avventura oggi ancor più impegnativa dell’inizio, l’attuale presidente Pinuccia Bodini ci confida le parole che racchiudono per lei il senso di questi anni: “La prima è gratitudine, per tutto ciò che un Altro ha costruito attraverso di noi”. E in verità, a guardare alle poche forze in campo, alla fatica dei volontari nel confronto quotidiano con situazioni pesanti, culture diverse e bisogni ai quali non è mai possibile rispondere appieno, verrebbe da dire: Ma chi glielo fa fare? Non è una goccia in un mare? E invece l’azione costante, testarda di queste ventisei volontarie che hanno ormai contatti stabili con istituzioni, enti, associazioni, parrocchie, comuni e una miriade di singoli benefattori, ha creato a poco a poco una trama di rapporti “buoni” che rendono più vivibile l’intera società.

“La seconda – continua Pinuccia – meno scontata, è la parola incontro. All’origine l’incontro tra persone che non volevano abbandonare le donne alla scelta dell’aborto, e hanno fondato nel 1983 il CAV Medio Verbano, con sede a Laveno; un gruppetto di appena cinque persone appoggiato da due parroci di grande fede, don Sandro Dell’Era e don Mario Sessa. Quando poi le volontarie si sono moltiplicate, l’incontro tra di noi è diventato essenziale. Abbiamo capito che non è possibile proseguire nell’impegno, pur con tutta la generosità e la passione che uno si sente dentro, senza una verifica e una riflessione insieme, fatta periodicamente con fedeltà: è così che crescono la fiducia reciproca e la capacità di valorizzare le diversità, superando le spigolosità reciproche. Ma l’incontro è anche con il mondo che sta attorno, altrimenti la chiusura e la stanchezza sono inevitabili: Per comprendere e accompagnare donne che vivono comunque una sofferenza, dobbiamo imparare a nostra volta da chi è più grande di noi. Da qui i contatti, durante gli anni, con personaggi che ci potessero insegnare la carità e l’accoglienza: una tappa fondamentale è stata la conoscenza di don Benzi e la sua amicizia, poi l’incontro con la figlia della santa Gianna Beretta Molla, a cui sempre ci siamo affidate. E così ci siamo rese conto che si devono percorrere tutte le strade, anche quelle istituzionali, usando le leggi e le iniziative che possono dare respiro economico a chi si rivolge a noi (un esempio è il fondo regionale lombardo NASKO, che garantisce un piccolo contributo mensile alla madre indigente). Questo comporta la stesura di piccoli progetti, per poter accedere ai finanziamenti, e ci costringe a una serietà e a una maggiore comprensione dei veri bisogni di chi ci sta davanti”.

In effetti sono proprio questi gli incontri più impegnativi e più forti della storia del Cav, quelli con le mamme in attesa. “Non ci va di usare il termine assistenza – spiega Pinuccia – perché non è questo il nostro intento. Il nostro lavoro invece è ascoltare e accompagnare queste donne, cercando di capire la realtà della loro situazione, senza giudicarla moralmente, e arrivare possibilmente a individuare le loro esigenze vere; poi offrire – se l’accettano – la nostra amicizia. Non è sempre facile, non è sempre possibile: ma la strada giusta – come ci testimoniano tanti episodi di questi trent’anni – è proprio questa”.

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