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Il Viaggio

LA CITTÀ DEI RE

CARLO BOTTI - 11/02/2013

Il pulmino arranca sulla strada ripida e minuscola. Passa a stento. Ma l’autista procede veloce perché conosce ogni buca e ogni ostacolo a memoria. Le baracche fanno da corona. Alcune con la facciata colorata per nascondere il materiale con cui sono fatte, quello che ormai ho imparato a definire come “fango armato”, altre completamente distrutte sulle cui macerie sonnecchiano cani randagi.

Il pulmino, che credo sia uscito dalla fabbrica di produzione intorno al 1970, è strapieno di turisti peruviani e stranieri. Dalle casse esce una voce registrata che ricorda alcuni fatti storici che hanno caratterizzato la nascita della città. Il mio sedile ha una molla rotta che a ogni sobbalzo cerca di infilarsi nella natica e la mia cintura di sicurezza più che una cintura di sicurezza è una fascia da concorso di bellezza, puramente ornamentale. Però non mi lamento. Al mio amico seduto di fianco è andata peggio: ha un sedile che praticamente non è attaccato al pulmino e a ogni curva della ripidissima salita scivola a destra o a sinistra come se fosse seduto sul gommone di un gioco acquatico.

Stiamo sfrecciando attraverso Rimac, uno dei quartieri più “piccanti” della città come piace definirlo a loro. Molte porte delle case sono aperte e si vedono vecchi in canottiera che bevono una cervecita guardando la tv. Altri invece sono seduti fuori sugli scalini e occhieggiano con aria stanca verso l’ennesimo pulmino di turisti che sale al mirador di San Cristobal.

Le case-baracche si diradano e la sensazione di claustrofobia per fortuna si allontana. Il vecchio pulmino, che sembra sempre sul punto di abbandonarci al nostro destino, con un’ultima spinta percorre le ultime curve e ci porta a destinazione. Mi stacco la mia cintura di bellezza, scendo, mi avvicino con circospezione al muretto che circonda tutto lo spiazzo e a una gigantesca croce di ferro. Ed ecco, da una sorta di balconata, me la ritrovo lì, di fronte ai miei occhi con tutta la potenza della sua immensità: la Città dei re, Lima.

Posso vederla finalmente nella sua interezza, o almeno credo. La città si sviluppa a perdita d’occhio. L’oceano si intravede in lontananza. C’è foschia. Un grigiore unico pervade il tutto. Milioni di case sono state costruite in maniera disordinata in ogni angolo. Ma nessuna casa è stata terminata in modo da non pagare – dicono – le tasse che ne deriverebbero. I palazzi si contano sulle dita di una mano. Parchi o alberi neanche a pagarli. Sembra una città costruita sul deserto. Guardando meglio noto che di fronte a me ho una collina fatta di case e baracche. Sono costruite tutte talmente vicine l’una all’altra che nascondono la collina che c’è sotto. Sembra un effetto ottico.

Un moto di sconforto mi prende, mi sembra quasi che la città mi possa inghiottire da un momento all’altro. Come farò a vivere in questo caos per un anno?
Provo a girare intorno allo spiazzo cercando di vedere qualcosa che mi rassicuri, ma dappertutto il paesaggio rimane sempre lo stesso. Il grigio e il marrone sono i colori dominanti. La Panamericana, che sembra tagliare in due la città, è letteralmente presa d’assalto da combi (i minipulmini privati che regolano il trasporto urbano), macchine, moto, risciò, taxi e tir giganteschi. Il rumore – uno strano rombo – è talmente forte, intenso che sembra quasi mi possa sostenere in piedi in caso mi lasciassi andare.

Davide, che vive qua ormai da cinque anni, si avvicina da dietro, e appoggiandomi una mano sulla spalla dice: “Questa che vedi non è che la metà della città. Oggi poi è una bellissima giornata. Da marzo a ottobre il sole non spunta neanche un giorno. La città è sempre invasa da una nebbia che arriva dal mare e viene bloccata dalle Ande che abbiamo subito qua dietro. E così rimane come incastrata qui”.

Lo guardo con un’aria tra lo sgomento e la paura e allora, forse impietosito, aggiunge: “Su non fare quella faccia, è una città difficile questo è vero, io ci ho messo parecchio ad abituarmi. I primi mesi stavo sempre in casa e uscivo solo per andare a fare surf. Ma poi a poco a poco scopri che ci sono alcuni quartieri che meritano, alcuni angoli caratteristici, scopri che la gente è super “amable”. Ci starai bene”.

Diciamo che se voleva rassicurarmi di certo non ha fatto un bel lavoro.

Sconsolato mi siedo sul muretto e continuo a guardare, ma non c’è molto da vedere. È tutto uguale, tutte case basse con i panni a stendere all’ultimo piano. Case e case che si ripetono all’infinito e questa inquinata foschia che la ricopre come una coperta sudicia.

E penso: un anno è lungo, ma sicuramente troverò il mio modo di vivere questa città. I primi giorni dal mio arrivo sono stati molto pieni. Le giornate sono state scandite da lezioni per darci una infarinatura sociale, culturale e politica del Perù, per prepararci a questo anno di servizio europeo di volontariato che ci attende.

Ancora non sono riuscito a farmi un’idea di quello che mi aspetta, anzi non ho voluto neanche farmela, a dire la verità. Mi sono fatto trasportare e ho cercato di tenere le mie aspettative al livello più basso possibile perché una cosa ho imparato: quante meno ne hai più avrai sorprese piacevoli. Altrimenti la delusione sarà la tua compagna di viaggio.

Un suono penetrante mi ridesta dai miei pensieri. È il clacson che ci avvisa che dobbiamo tornare sul nostro moderno pulmino.

Una volta tutti alle proprie postazioni comincia la discesa dalla collinetta che è decisamente divertente. Sembra di stare sulle montagne russe e a ogni sobbalzo il mio amico rischia di saltare fuori con tanto di sedile.

Finiamo la giornata a Barranco, uno dei quartieri “bene” di Lima. È il tramonto, un viale alberato porta direttamente all’oceano. Artisti di strada suonano l’ukulele e il cajon peruviano per i turisti che ritornano tutti scottati dalla giornata di mare. Altri ragazzi invece vendono churros, braccialetti e gelati cercando di attirare l’attenzione dei passanti. Il clima è disteso e rilassato. Il sole si sta abbassando a poco a poco sull’orizzonte e colora la scogliera che delimita la città con l’oceano di un rosa choc. Fa caldo ma c’è anche una lieve brezza.

Io e il mio amico ci guardiamo e ci sorridiamo. Dopotutto, la Città dei re non è così male.

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