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Società

L’ONDATA POPULISTA E IL CAPO CARISMATICO

CAMILLO MASSIMO FIORI - 29/03/2013

Il populismo non è una dottrina, è una patologia, una malattia della politica, è un fenomeno endemico che si presenta nei momenti di grave crisi, quando è più acuto il malessere sociale e l’insoddisfazione dei cittadini.

I populismi sono diversi a seconda della prevalenza della concezione del popolo sovrano, come popolo-nazione che appartiene ad una comunità organica, oppure come popolo-classe che raggruppa i ceti disagiati, quelli che sono stati definiti i perdenti della modernità.

Tutti si basano sulla contrapposizione tra il popolo, sano e virtuoso, la società civile, buona e laboriosa, e i partiti inefficienti, una classe politica corrotta. Tutti fanno riferimento ad una ipotetica democrazia diretta che fa a meno delle mediazioni bizantine e tutti si ispirano a un capo carismatico che fa da collegamento e colma il vuoto tra società e istituzioni.

Le cause dell’avvento del populismo sono essenzialmente le seguenti.

La crisi dei partiti di massa con la caduta delle ideologie che li sostenevano e la loro trasformazione in partiti leaderistici e personali. Lo scontro politico avviene ora prevalentemente nello spazio mediatico e viene interpretato e ridotto dalle solite facce che appaiono in televisione dove le argomentazioni sono povere e il confronto si basa sugli slogan piuttosto che sui contenuti. Ciò porta alla svalutazione dei partiti come strumenti di partecipazione e ad una tendenza verso la “democrazia del pubblico” che cerca di farne a meno.

La crisi economica (la più grave e drammatica dopo quella del ’29) che, con la disoccupazione, la caduta dei consumi, la scomparsa del posto fisso e il precariato, il ridimensionamento dello Stato di sicurezza sociale, minaccia la coesione della comunità e la sua speranza di futuro.

La perdita di identità nazionale conseguente alla dismissione della memoria storica e ad una forte e mal gestita immigrazione. Infine la globalizzazione dell’economia e della finanza che rende meno incisive le politiche nazionali.

In Italia la reazione populista si è sviluppata in due ondate successive: la prima ha distrutto, nel 1993, la Repubblica nata dalla Resistenza, la seconda minaccia di travolgere l’attuale sistema politico. Durante la Prima Repubblica i due grandi partiti, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, riuscivano a intercettare le tensioni populiste ed eversive e a renderle compatibili con la governabilità mentre gli attuali soggetti politici hanno preferito rincorrere gli umori popolari ed è mancata l’azione educativa delle grandi agenzie culturali, a cominciare dalla chiesa gerarchica.

Il populismo di Grillo si differenzia da quello di Berlusconi e di Bossi in quanto quelli avevano dei labili riferimenti ideologici nel federalismo e nel liberismo, mentre questo è più pragmatico, ha tante “policies” e nessuna “politics”.

Il populismo è intimamente connesso a due atteggiamenti tipici della modernità: il nuovismo e il giovanilismo. Nuovo significa cambiamento e, pertanto, situazioni e personaggi inediti; il nuovismo consiste in una serie di nuovi inizi; prescinde dal merito e dalla competenza ed esprime svalutazione del presente. Il giovanilismo è un’eredità del fascismo che vi aveva ravvisato lo strumento per distogliere il popolo dalla lotta di classe, che mette a rischio gli interessi consolidati, e deviare il conflitto sociale in uno scontro di generazioni.

Il Movimento 5 Stelle non rappresenta il popolo minuto, i ceti sociali più deboli, ma una borghesia giovane ed evoluta, che vede però la rottura tra una elevata cultura professionale e una cultura civica e umanistica singolarmente povera, e che si ispira alla “legge della Rete” per cui “ognuno vale uno” e tutti possono partecipare alle decisioni collettive in una nuova e incerta “democrazia del pubblico”.

Il Movimento è segnato dalla contraddizione tra l’esigenza della partecipazione e la realtà di un capo carismatico che si rapporta con nessuno e che contraddice le ragioni stesse della democrazia.

La capacità propositiva dei populisti è modesta e la prova della realtà smaschera la loro inconsistenza progettuale. L’ascesa dei movimenti populisti è rapida perché essi offrono una apparente risposta alla crisi e propongono un “nemico” plausibile, ma la loro inadeguatezza programmatica non consente di affrontare e risolvere i problemi e, nel tempo, anche il populismo si corrompe e si imborghesisce. Vent’anni di “berlusconismo” hanno portato l’Italia ad una recessione profonda, ad una crisi morale inquietante, alla perdita del senso dello Stato e del bene comune. Il populismo berlusconiano ha cambiato le basi della nostra democrazia con la spettacolarizzazione della politica, condizionata dalla televisione in cui poche decine di persone creano l’opinione pubblica, con uno spostamento dell’attenzione dai contenuti programmatici alle figure dei leader. La semplificazione di Grillo “usciamo dall’euro, ritorniamo alla lira, svalutiamo del trenta per cento e in una notte risolviamo tutto” è irrealistica e devastante. Un Paese allo sbando ha bisogno di riferimenti meno labili, deve ritrovare nei valori, nei principi, nelle convinzioni condivise un ancoraggio alla speranza per un futuro possibile.

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