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Spettacoli

LA TV, L’ASSASSINO E IL SALTIMBANCO

SERGIO REDAELLI - 05/04/2013

Intervistai Enzo Jannacci nel dicembre del 1986 per l’edizione speciale del 35° anniversario de La Notte, il quotidiano milanese del pomeriggio che, senza Internet e con la tv non ancora onnipresente organo di regime, godeva di buona salute: una festa di compleanno celebrata con altrettanti personaggi meneghini di nascita e d’adozione, da Silvio Garattini a Gianfranco Moratti, da Gianni Brera all’avvocato Prisco, da Mariangela Melato a Carla Fracci, da Gianni Rivera a Sandro Mazzola, da monsignor Ernesto Pisoni a Beria d’Argentine, dal filosofo Abbagnano al maestro Abbado.

Subito un’ironica battuta sul giornale, celebre per il taglio scandalistico e i titoli a sensazione: “La Notte? La compro sempre, mi affascina il mistero di quei titoloni sparati in prima pagina come se ogni pomeriggio scoppiasse la guerra. Ma come!, mi chiedo quando la vedo in edicola, stamattina ho letto il Corriere e la Repubblica e non era successo niente, tutti articoli di routine, cosa diavolo sarà riuscita a sapere La Notte che titola a caratteri cubitali? Regolarmente ci casco e non riesco a fare a meno di comprarla, da molti anni”.

“Ma non sono state sempre rose e fiori – aggiunse Jannacci, allora cinquantunenne – in passato ho avuto qualche screzio con i vostri redattori, diciamo intorno al… ’68, anche se incontravo spesso Nino Nutrizio al ristorante l’Assassino” (Nutrizio era stato il fondatore, nonché il mitico direttore de La Notte, d’idee liberali e il ristorante l’Assassino era il ritrovo abituale dei giocatori del Milan, di cui entrambi erano tifosi). Milanese di Porta Vittoria, sposato con la signora Giuliana e padre di Paolo, oggi musicista, Jannacci era già sulle scene da un quarto di secolo con una produzione discografica di tutto rispetto, quindici album e una miriade di 45 giri.

Ex cabarettista del Derby, attore e musicista, si definiva un medico chirurgo con l’hobby di fare il saltimbanco. “Forse non tutti sanno – disse con una punta d’orgoglio – che ho scritto la colonna sonora del film di Lina Wertmuller, Pasqualino Settebellezze, per la quale ho avuto la nomination all’Oscar; ma resto, in fondo, un disgraziato che canta ai disgraziati”. Importante, per capire la sua formazione, sono le collaborazioni negli anni Cinquanta e Sessanta con alcuni artisti che si muovevano nell’anticonformistico ambiente milanese, Giorgio Gaber e Dario Fo, Luigi Tenco, Gino Paoli e Umberto Bindi.

Debutta al teatro Gerolamo in uno spettacolino chiamato “Milanin Milanon” con Tino Carraro e Milly quando è ancora studente di medicina. È figlio d’immigrati, suona il piano, ama il jazz e canta con voce triste e umanissima le atmosfere e i personaggi surreali della Milano di ringhiera, della malavita, della nebbiosa periferia industriale. È timido e un po’ goffo, anarchico e antimilitarista, anche se ama le arti marziali giapponesi. Ha mille interessi e (agli inizi) le tasche vuote. Emigra in Germania, fa il muratore e il pizzaiolo, va in Sudafrica per imparare dal cardiochirurgo Barnard e poi nelle cliniche americane.

È tenace, ribelle e ricco di talento. “La mia vita – confessò in quell’intervista – è stata un continuo sentirmi dire di no, no tu no, come nella canzone che ho scritto. Quando mi presentavo a un esame i professori sorridevano ironici “Guardi Jannacci che se non è preparato la mandiamo alla televisione…”. Poi la laurea, il posto da cardiochirurgo all’ospedale di Niguarda e contemporaneamente i primi successi in tv (Saltimbanchi si muore, Ci vuole orecchio, Gran Simpatico), i film (Le coppie con Monicelli, L’Udienza di Ferreri), la musica e il dilemma di sempre: fare il medico o il saltimbanco? O entrambe le cose?

La vita ti mette davanti a difficili scelte. “Dario Fo è un maestro e con Gaber c’è sempre da divertirsi. Purtroppo, degli altri vecchi amici del Derby non frequento più nessuno, Cochi è sparito, Toffolo non ho più occasione di vederlo”.

Poi ecco la vena amara, la capacità di vedere in prospettiva che solo i grandi artisti possiedono: “Milano non è più un vivaio di umoristi satirici perché la tensione e l’impegno morale sono scomparsi ovunque in Italia, con la complicità dei giornali e della tv, forse perché tutti i comici ormai lavorano a Drive In e fanno i danée. L’artista ha l’obbligo di essere un predicatore, di fustigare i costumi, di denunciare le ingiustizie e le malefatte del potere, ma la gente oggi beve tutto, davanti alla tv come allo stadio. E anche il vecchio Milan non mi attira più come un tempo”. Era il 1986 ma sembra oggi.

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