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Storia

LA TROMBA DI DIO NELLA VAL PADANA

FRANCO GIANNANTONI - 03/05/2013

Corrado Stajano, amico e compagno di tante battaglie, prende spunto dalla ristampa di “Come pecore in mezzo ai lupi” titolo terribilmente attuale, di don Primo Mazzolari, edito da Chiarelettere per riproporre agli italiani, che in gran parte ignorano quelle vicende, la grandiosa figura del sacerdote cremonese-mantovano, punta di diamante del battagliero basso-clero lombardo, antifascista al punto che il suo comportamento, rigoroso e mal disposto a compromessi di alcun genere, gli costò l’ostracismo della grande Chiesa allora retta da Papa Pio XII e dei cardinali della potentissima Curia romana. Il clima punitivo si dissolse quando apparve sulla scena Giovanni XXIII che ricevette don Mazzolari a Roma in udienza privata, gli parlò a lungo, ne esaltò l’opera pastorale e, congedandolo, ebbe a dipingerlo con parole che equivalevano alla concessione della porpora: ”la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”.

Non fu solo don Mazzolari a pagare in quegli anni bui il prezzo della libertà. Quello che come lui fu bollato dal marchio di “prete comunista” fu, ad esempio, don Andrea Gaggero, parroco di Sestri Levante, partigiano combattente, deportato ad Auschwitz da dove fortunatamente tornò, per essere accusato di deviazionismo dall’allora cardinale Siri in quanto “partigiano della pace” con Aldo Capitini (gli inventori della marcia Perugia-Assisi). Fu spedito di fronte al Sant’Uffizio del cardinale Ottaviani che lo ridusse senza pensarci due volte allo stato laicale. Potremmo continuare con la storia di don Lorenzo Milani e tanti altri. Per fortuna quella pagina oscura della Chiesa reazionaria pare chiusa.

Don Mazzolari era un prete di campagna, uno che il Vangelo lo misurava ogni giorno sulla propria pelle e su quella dei miserabili braccianti della valle padana sfruttati come bestie dai grandi proprietari terrieri ma anche uno scrittore, un formidabile oratore, un profeta che, di giustizia e libertà, fece il suo motto esistenziale.

Un uomo di paese ma molto colto. Era cresciuto sotto le ali di Maritain e di Bernanos, aveva amici che avevano combattuto nella Resistenza come padre Davide Maria Turoldo e padre Camillo De Piaz della Corsia dei Servi e altri che avevano diffuso sapere a piene mani come Carlo Bo e Luigi Santucci.

Era nato nel1890 aBoschetto in una cascina a pochi chilometri da Cremona, da una famiglia di agricoltori, testimone diretto della catastrofe della prima guerra, dell’avvento del fascismo e dello squadrismo della bande pagate dai padroni di terre e di industrie, aveva benedetto i corpi dei caduti sul Carso, aveva alzato la voce dal pulpito, non sempre inteso nel modo giusto dai fedeli prigionieri di un modello criminale, la dittatura di Mussolini, che si stava affermando nel nome della violenza e del potere.

Quando don Mazzolari tornò a casa dal fronte dove aveva assolto al ministero di cappellano, non esitò un attimo a tirare le somme di quella devastante esperienza, scrivendo parole esemplari: “Se invece di dirci che ci sono guerre giuste e guerre ingiuste i nostri teologi ci avessero insegnato che non si deve ammazzare per nessuna ragione (…), invece di partire per il fronte, saremmo scesi nelle piazze”.

Don Mazzolari non era un rivoluzionario. Erano gli altri a essere dei reazionari. Era un uomo giusto. Il Vangelo era la sua stella cometa, non uno scudo per nascondere la faccia. Perseguitato, intimidito, bastonato, boicottato. Quando nel 1925 Mussolini subì l’attentato a Bologna di Tito Zaniboni senza subire un graffio, si rifiutò di recitare un “Te Deum” di ringraziamento perché il dittatore aveva portato a casa la pellaccia, con la chiesa assalita dalle camicie nere. Non ne aveva voluto sapere.

All’armistizio dell’8 settembre del ’43 si era schierato controla Repubblichinadi Salò. Non aveva dubbi sull’antitesi cristianesimo-fascismo e nei seicento giorni dell’occupazione tedesca il tema era diventato ancora più attuale. C’erano state le persecuzioni antisemite, le brigate nere avevano ucciso cittadini inermi, le formazioni partigiane avevano tentato di rispondere alle aggressioni. Don Mazzolari fu braccato come un cane e per salvarsi si barricò per sette mesi in un pertugio segreto tra il campanile ela Canonicadi Bozzolo, il paese dove fu il parroco per trent’anni.

La sua voce alta e libera trovò ostacoli continui. Ancora l’alto clero, quello delle croci e degli anelli d’oro. Subì violenze, denunce, censure, ammonimenti a tacere. Ubbidì ma non si zittì. Si aprì semmai ancora più al mondo e alla solidarietà. Nel 1949 fondò il giornale “Adesso” che usciva ogni quindici giorni in cui affrontò il tema della povertà, di una Chiesa delle origini, di ecumenismo, di rispetto politico anche verso le sinistre, comunisti e socialisti compresi. Le accuse si fecero allora roventi attizzate da Gedda e dai suoi Comitati fascistoidi, il giornale chiuse, poi riaprì, poi chiuse per sempre. Fu accusato di essere stato finanziato dal nemico!

Nel 1954 il Sant’Uffizio, quello che aveva fermato don Gaggero, lo prese di mira. C’erano i vegliardi cardinali ad affermare cosa era lecito e cosa non lo era. A don Mazzolari fu precluso di tenere discorsi fuori da Bozzolo, a rilasciare interviste, a dissertare su temi politici e sociali. Stesse zitto e buono il più possibile a casa sua.

Morì a settant’anni il 12 aprile 1959. Non riuscì, dopo la prima visita consolatoria del febbraio, a rincontrare Papa Giovanni XXIII, “il Papa giusto” prima che “buono”, che lo aveva invitato a Roma il 18 aprile. E sì che per quell’appuntamento, don Mazzolari, povero in canna, si era fatto preparare per l’occasione una tonaca nuova dal sarto del paese!

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